Era accusato di aver violentato sessualmente una propria dipendente, 21enne all’epoca dei fatti, costringendola a toccargli le parti intime dopo essersi abbassato i pantaloni. Fatti risalenti al dicembre del 2014 e legati alla denuncia sporta dalla giovane. Per questo un imprenditore 63enne di Fabro, titolare di una struttura ricettiva, è stato condannato martedì mattina ad un anno e nove mesi di reclusione, pena sospesa.
La richiesta di arresto A fronte della gravità dell’imputazione – violenza sessuale continuata, aggravata dall’aver commesso il fatto con l’abuso di autorità – nel 2015 l’autorità giudiziaria aveva chiesto nei confronti dell’uomo la custodia cautelare in carcere. Richiesta poi respinta dal gip.
Nella sentenza di martedì il tribunale di Terni in composizione collegiale ha escluso sia la continuazione del reato che l’aggravante contestata. È stata invece riconosciuta l’attenuante della modesta gravità del fatto. Moderatamente soddisfatto il legale difensore del 63enne, l’avvocato Iuri Fucili, secondo il quale «il tribunale ha ridefinito in modo più coerente i contorni di gravità del fatto contestato, evitando facili condizionamenti derivanti dai recenti fatti di cronaca a sfondo sessuale». Lo stesso legale si dice comunque determinato ad impugnare la sentenza in appello «allo scopo di definire altri aspetti della vicenda a cui il tribunale non ha dato rilievo, che potranno portare ad una riforma della sentenza stessa».