di Francesca Torricelli
«Non cerco vendetta, non voglio litigare. Voglio solo che mia figlia riposi in un luogo degno. E con lei, tutte le persone che sono lì, abbandonate tra l’erba e il silenzio». A parlare è Renzo Massoli, padre di Monia, la donna marscianese di 55 anni che il 31 dicembre 2024 ha perso la vita in sella alla sua bicicletta lungo la provinciale 375, tra le frazioni di Schiavo e Papiano, nel comune di Marsciano.
Da quel giorno la vita di Renzo è cambiata per sempre. Ma al dolore della perdita si è aggiunta un’altra ferita: la sepoltura della figlia in uno dei due container in cemento collocati fuori dalle mura del cimitero comunale di Marsciano, nella nuova area di ampliamento realizzata dal Comune per far fronte all’esaurimento dei loculi disponibili.
«Quando ho visto dove avevano messo mia figlia, ho provato un dolore nuovo, più profondo, più muto», racconta. «Sono container di cemento in mezzo al nulla. Non c’è un cancello, un vialetto, una siepe. Non c’è nulla che richiami al rispetto e alla sacralità di un luogo di riposo eterno. Solo terra battuta, sterpaglie alte fino alle ginocchia e una strada dissestata che io, ormai anziano, fatico a percorrere per andare a trovare mia figlia».
Renzo non grida. Ma le sue parole pesano come pietre. A marzo ha scritto una lettera al Comune, chiedendo piccoli interventi che possano restituire dignità a quell’area: una pensilina, una pavimentazione adeguata, una recinzione, una strada sistemata. Ha atteso una risposta, invano. Poi si è rivolto ai carabinieri, che hanno promesso un contatto con il sindaco. Ma ancora silenzio. Così, oggi, Renzo si è rivolto a noi, non per accusare, ma per raccontare una realtà che non dovrebbe esistere. «Non è un’emergenza, non c’è stato un terremoto o un’alluvione. Perché allora trattare così i nostri defunti? Perché farci piangere anche per questo?».
Quel ‘Padiglione 2024’, come lo chiama il Comune, è solo un’area spoglia, isolata, priva di ogni dignità, dove famiglie come quella di Renzo si ritrovano a portare un fiore senza avere neppure un’ombra, un muretto, un segno di pace. «Non ho mai visto uno scempio del genere, nemmeno nei luoghi più colpiti da tragedie. E io non chiedo nulla per me. Ma per lei sì. Per Monia. Per tutte le persone che sono lì fuori, oltre le mura, come dimenticate». Il dolore di un padre è una preghiera che non fa rumore, ma che chiede ascolto. Un padre che non si rassegna a vedere la figlia trattata come un’emergenza, come un problema da sistemare alla meno peggio. Un padre che vuole solo questo: che sua figlia riposi in pace. E con lei, tutti gli altri.
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