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Home » Museo delle Armi a Terni: «C’è l’occasione concreta ma ognuno faccia la sua parte»

Museo delle Armi a Terni: «C’è l’occasione concreta ma ognuno faccia la sua parte»

di Fabio Toni
11 Marzo 2024
in Cultura, Politica
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
Il museo delle armi

Il museo delle armi

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di Enrico Melasecche Germini
Assessore regionale alle opere pubbliche e rigenerazione urbana

Era il 1997 quando la giunta Ciaurro, dopo decenni di inutili discussioni, concluse un accordo con l’Esercito per acquisire la parte terminale della ex Regia Fabbrica d’Armi, per realizzarvi il ‘Museo delle Armi’. Ero vice sindaco ed assessore, oltre che ai lavori pubblici, anche al bilancio e ricordo bene il mutuo che accendemmo per annettere al patrimonio comunale quella struttura costituita da due blocchi terminali della fabbrica ottocentesca, posti ad angolo con il piazzale annesso.

La convenzione prevedeva il trasferimento della ricchissima collezione di armi dai locali dell’opificio militare, dove ancor è oggi di fatto segregata a causa dei necessari vincoli di accesso, salvo la restituzione all’Esercito degli edifici nel caso in cui entro i dieci anni successivi non si fosse conclusa l’opera. Ma un primo intervento di rifacimento delle coperture, di consolidamento delle capriate lignee originali e delle murature verticali con la realizzazione di cavedi a terra per l’impiantistica, è già stato realizzato a metà del primo decennio del secolo su iniziativa del Ministero dei beni culturali, poi più nulla.

Vari tentativi di finanziamento sollecitati dal sottoscritto, allora consigliere regionale e comunale di minoranza, non ebbero miglior sorte a causa di una serie di eventi calamitosi cui i vari governi succedutisi dovettero dare priorità. Da assessore regionale ho tentato di riattivare tre anni fa l’iter con una nota alla soprintendente Elvira Cajano, chiedendo di intervenire anche sul lapidarium sottostante piazza San Giovanni Decollato, ormai dimenticato nell’incuria totale dopo che il ministero acquisì a fine anni ’90 il secondo interrato in seguito alla scoperta nel corso degli scavi delle fondazioni di una basilica romana.

Chiesi anche nel 2021 alla dirigenza comunale di poter recuperare il dossier del museo, misteriosamente custodito in modo irrituale ad personam al di fuori della struttura dei lavori pubblici. Ma il tutto non fu sufficiente a cogliere al volo da parte del Comune l’occasione unica di finanziare il completamento del museo con i fondi Pnr, per cui oggi ho ritenuto di sottoporre alla giunta regionale l’inserimento di tale incompiuta fra gli obiettivi del Fondo sviluppo e coesione il cui patto è stato firmato proprio sabato scorso fra le presidenti Meloni e Tesei, con indubbie prospettive per tutta l’Umbria ma anche per Terni che, grazie alla tenacia del sottoscritto, porta a casa finalmente uno dei progetti irrealizzati nel corso del ventennio di ritorno della sinistra.

L’utilizzo di circa 3 milioni fra i 10 previsti per la valorizzazione dei beni culturali di tutta l’Umbria, costituisce l’ultima occasione concreta di poter realizzare il sogno di almeno due generazioni di ternani. Si sono scritti fiumi di inchiostro sull’archeologia industriale di cui quella struttura iniziata a costruire nel 1875 fa parte, sono stati fatti molti convegni e conviviali ma è fin qui mancata la capacità da parte di chi avrebbe dovuto interessarsene di portare a conclusione quest’opera che, collocata proprio sul percorso che porta 500 mila turisti verso la Cascata delle Marmore, costituisce un’ulteriore attrazione ed una certezza dal punto di vista dell’equilibrio economico della gestione, se il museo fosse realizzato, come è opportuno che sia, non come una massa informe di strumenti bellici ma, come oggi l’informatica consente, con tecniche di comunicazione interattiva che illustrino gli eventi storici correlati.

Si pensi soltanto che fa parte della collezione un esemplare del fucile con cui fu assassinato il presidente Kennedy, come purtroppo non ne potrà fare più parte il famoso cannone di Saddam Hussein, commissionato alle acciaierie dal dittatore iracheno ma poi fuso successivamente senza che si fosse attivato in città un coro di voci per salvarlo e testimoniare, con quei pezzi mastodontici, l’attività di Ast in 140 anni dalla sua fondazione. Per fortuna sorte migliore ha avuto la grande pressa da 12 mila tonnellate del 1936, posta a memoria di una parte importante della storia della città in piazza Dante e salvata dalla fusione.

Si apre oggi il capitolo conclusivo di questa avventura iniziata quasi trent’anni fa. Il nome da dare al museo lo vedremo, che sia semplicemente quello storicamente assegnato di ‘Museo delle Armi’ o quello che recentemente qualcuno ha suggerito per stemperare l’aspetto problematico insito nella parola ‘armi’, ovvero ‘Museo della Regia Fabbrica d’Armi’, la cui costruzione avvenne nel 1875, prima ancora che le acciaierie venissero costruite per produrre corazze per le navi della Regia Marina. L’importante è riprendere il filo conduttore che ha visto trascorrere una generazione da quel lontano 1997, senza aver concluso molto per andare oggi, con un necessario colpo di reni, a chiudere positivamente questa incompiuta, per farlo funzionare in modo efficiente, moderno, attrattivo, culturalmente adeguato ai tempi che viviamo. Non rimane altro, dopo le recentissime dichiarazioni dell’assessore al bilancio e alla cultura, che il Comune inizi a lavorarci predisponendo in brevissimo tempo il progetto da mettere a gara in modo da portare finalmente a conclusione una delle tante idee che durante la ‘primavera di Terni’ di fine secolo riuscimmo a far decollare.

Enrico Melasecche Assessore regionale alle OOPP e Rigenerazione Urbana

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