Razzismo e barbarie, parole che fanno rima

Terni, storie di immigrati di ‘seconda generazione’: dalle quali imparare, se si vuole

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di Walter Patalocco

«Non vado molto spesso in Marocco, ma ogni volta, quando torno, mi sento ripetere la stessa cosa: ma perché sei rientrata in Italia? Era meglio se rimanevi lì».

Nawal ha circa 25 anni. Mora, capelli ricci, occhi scuri e pungenti. Parla un italiano buonissimo, d’altra parte lei è cittadina italiana, anche se viene appunto dal Nord Africa.

Fa parte della ‘seconda generazione’, quella dei figli di immigrati, nati in Italia o che erano in tenera età quando la loro famiglia vi si è trasferita.

Un invito che nasconde un retro pensiero razzista? «No, no – specifica subito Nawal – lo dicono per me, pensano che ormai dall’Italia i giovani devono solo scappar via. Sono scoraggiati, non riescono a guardare al domani con fiducia. Invece questo è il momento di metterci grinta, di porsi con atteggiamento positivo e costruttivo rispetto alla situazione che è obiettivamente difficile».

Vuol essere un incoraggiamento quello di Nawal. Una spinta. Lei ce l’ha la fiducia nell’Italia, pensa che con l’impegno di tutti e specie dei giovani le cose possono migliorare. Ma per un giovane che vive in Italia non è facile vedere all’orizzonte cieli rosa.

Eurostat ha diffuso proprio in questi giorni dati relativi alla “felicità” degli europei, ossia la valutazione che danno della qualità della loro vita: gli italiani sono tra i più pessimisti.

La statistica, fredda e impietosa dice che in Italia l’insoddisfazione è maggiore rispetto alla media dell’Europa, e molto di sotto rispetto ai rumeni, agli slovacchi, ai finlandesi – tra i più soddisfatti, questi – ai francesi.

Due le cause principali: l’incertezza del lavoro e la delusione per il comportamenti degli amici. Cose note e frivolezze? Il quadro potrebbe portare anche alla valutazione secondo cui all’impoverimento economico e all’incertezza del lavoro si affianchino un calo della solidarietà e un imbarbarimento dei rapporti tra persone.
Nawal fa parte di un’organizzazione di volontari che lavora per l’integrazione degli stranieri in Italia, attraverso il ‘Progetto Empatic’, ‘EMPowerment Associazioni e Volontari Immigrati per la Comunità’, iniziativa ‘sponsorizzata’ dall’Anci, l’associazione dei Comuni, che agisce in collaborazione con una serie di cooperative sociali.

A svolgere l’opera, volontaria, sono non pochi gli immigrati di ‘seconda generazione’ i quali hanno un tratto in comune: ci credono nel futuro. In quello dell’Italia. Anche se sarà impegnativo, perché «sì, per i giovani specialmente c’è il grande problema del lavoro, e quindi del domani», conferma Ann Margot. Lei è figlia di peruviani, ma parla con accento ternano. «Studio medicina a Roma – dice di sé – è la mia passione. Voglio fare questo lavoro e sono sicura che ci sarà spazio anche per noi nati dopo il 1990». Nati in Italia da genitori stranieri, comunque cresciuti in Italia hanno avuto qualche difficoltà in più, in alcuni casi, rispetto ai loro coetanei, scontrandosi nella vita di tutti i giorni con situazioni non sempre gratificanti.

Non se lo nascondono, naturalmente, che ci sono problemi – diciamo così – di convivenza. Si battono anche perché tanti pregiudizi scemino. È un impegno duro, ma vanno avanti con fiducia nel domani e nella terra in cui vivono.

Portano le loro testimonianze, sviluppano le esperienze tratte dai loro studi, incontrano altri giovani ma anche gente più matura. William, ha origini statunitensi: risponde ad un signore di Verona il quale ha stigmatizzato un commento del suo idraulico alla notizia del furto in un’abitazione: «I soliti extracomunitari! Ah, no? Due veneti? Beh, almeno sono nostri». Come se fosse meno grave, ma William sdrammatizza: «Non è giusto, ma non succede solo in Italia: fanno così anche gli inglesi, gli spagnoli, i polacchi…».

Il razzismo non è ha colore, né una targa automobilistica che lo contraddistingue.

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