Terni e l’opposizione che non esiste

Una riflessione sull’unica esperienza di governo della città non legata alla sinistra. Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

L’epoca ciaurriana fu per Terni l’occasione di una svolta. L’opportunità di uscire definitivamente da una visione della politica rimasta dipendente dei sentimenti della ricostruzione postbellica. Mezzo secolo dopo si era, certamente, andati oltre la necessità di rimettere insieme i cocci lasciati dai bombardieri alleati, ma continuavano ad essere quelle della ricostruzione le fondamenta, in alcuni casi subliminali, della società ternana. Che era ovviamente cambiata. Ed era cambiata, in molti ambienti, ben più velocemente di quanto percepisse chi continuava a mantenere in opera impalcature non più essenziali.

L’accelerazione fu data dalle vicende della tangentopoli che spinsero i ternani ad interrogarsi sulla loro storia recente, ma soprattutto a cercare strade che assicurassero uno sviluppo più rapido, più coraggioso, più moderno. Ambienti cittadini che parevano rassegnati a vivacchiare presero coscienza e vigore, decisi a scendere di nuovo in campo, a diventare parte dinamica del tessuto cittadino.

Il mondo delle professioni, le categorie imprenditoriali – quel che c’era – ed una pluralità di soggetti che all’onda generale s’erano adeguati, tenendosi sul bordo del fiume, al riparo dalla corrente. Prese nuovo vigore anche quella destra che non era scesa in piazza a cercare genericamente di sbarrare il passo negli anni Settanta, ma quella liberale che conservava idee tese pur sempre alla crescita della società, seppure intendesse percorrere strade diverse da quelle individuate e condivise dai più. Da quella maggioranza che, a Terni, era per la sinistra del Pci, del Psi e delle varianti partitiche che man mano da questi erano nate.

C’era, fortemente impegnata, anche una sinistra “laica”, ma era finita – tutto sommato – a svolgere un ruolo di simbolo, di fiore all’occhiello di un cambiamento che non fu mai così profondo come sarebbe stato necessario. E pure ce n’era il desiderio, se ne sentiva l’esigenza.

Come dimostrò il consenso ottenuto da Gian Franco Ciaurro (tra poco saranno 15 anni dalla sua scomparsa) la cui candidatura a sindaco fu accolta come segnale significativo di cambiamento. Era liberale Ciaurro; era un ternano di nascita che s’era fatto largo nel mondo; che era stato ministro nella prima Repubblica in un governo di centro-sinistra; che assommava su di sé esperienze politiche e di tecnica politico-giuridico-amministrativa. Un uomo che non esitava a pensare in grande, a proporre iniziative che esulavano dal grigiore a volte “pankoviano” che permeava in certe fasi la città.

La destra ternana rimasta al riparo da ogni corrente – eccezion fatta per il Msi che s’era dato molto da fare negli anni precedenti – raggiunse il centro del fiume e cominciò a remare. Ma vi rimase per poco tempo. L’esperienza di Ciaurro con luci ed ombre, gli alti dei primi tempi e i bassi di quelli successivi, si è presto spenta.

Dov’è adesso questa destra? Dov’è l’opposizione che essa può fare, il confronto serrato e perciò positivo che può assicurare? Una vera opposizione – così come intesa dal gioco del sistema democratico – non esiste.

A meno che non si considerino opposizione le posizioni preconcette, il “no a tutto quello che dici tu”, o – peggio – il ricorso continuo alla magistratura o gli interventi da guerra dei decibel cui si assiste.

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