Terni, guerra e bombe: terrore negli occhi

L’11 agosto del 1943 il primo di più di cento bombardamenti. Il corsivo di Walter Patalocco

Condividi questo articolo su

di Walter Patalocco

Era mercoledì, ed il mercoledì lo spaccio della ‘Terni’ era aperto fin dal mattino. Ferragosto capitava di domenica, festa doppia, allora e – beh – qualcosa di ‘speciale’ si poteva anche comprare, pure se le condizioni erano quelle che erano, con una guerra in corso, le truppe alleate che stavano in Sicilia, il fascismo che era caduto da un paio di settimane e al Governo c’era Pietro Badoglio, generale fedelissimo alla monarchia Sabauda.

Lo spaccio stava in piazza Tacito, all’angolo con via Battisti. Era affollata quindi piazza Tacito, ed anche le altre vie del centro, perché il mercoledì c’era pure il mercato. A quell’aereo che passando alto, su, sopra la montagna della Croce, che aveva lasciato una scia di fumo bianco, parecchi non fecero nemmeno caso. Le sirene che davano l’allarme? Avevano suonato tante volte, ma poi non era successo niente… Proprio quel giorno lì dovevano bombardare Terni per la prima volta?

Sì, successe proprio quel giorno per la prima volta. Erano quasi le dieci e mezza. Quella scia di fumo bianco era un segnale per le squadriglie di bombardieri che subito dopo arrivarono in formazione sopra la conca. Cominciarono a sganciare le bombe sopra la stazione, poi seguirono la linea ferrata che portava verso la zona dove stavano le industrie, la ‘Terni’, la Fabbrica d’armi… Erano quelle il loro obiettivo: fabbriche, ferrovie, ponti, strade. Senza tanti complimenti, senza guardare al capello: bombardamenti a tappeto. Saltò in aria soprattutto la zona nord del centro: tutte le case dalle parti della stazione, Sant’Agnese, borgo Bovio, piazza Tacito e su su, fino a corso Vittorio Emanuele. Altre che solo fabbriche! Chiese, palazzi, abitazioni, l’ospedale, il palazzo del Governo, via Camporeali, San Francesco e l’Istituto delle monache Orsoline. Tutto ridotto ad un unico cumulo di macerie. Almeno ci avessero azzeccato: sulle acciaierie di bombe ne arrivo giusto qualcuna: pochi danni e due vittime.

Tre ondate successive, mentre tutti correvano a cercare sui muri quei cerchi bianchi, con una ‘I’ nera, che indicavano i rifugi antiaerei. Molti riuscirono ad infilarcisi, e salvarono la pelle. Altri scapparono precipitosamente verso la periferia.

Ci volle qualche giorno prima di poter fare un bilancio: man mano che si scavava tra le macerie, dopo quelle due ore di morte e distruzione, il bilancio diventava più sconvolgente. Una bomba aveva centrato l’ingresso del rifugio di via Pacinotti e solo lì le vittime non si contavano. La Prefettura parlava di cinquecento morti, il primo bollettino ufficiale di 72, ma il giorno dopo fu corretto: 304 morti e 503 feriti. Al primo bombardamento.

A Roma, che in quegli stessi giorni fu colpita in un’area molto più vasta, le vittime furono 218 con 506 feriti. Nel pomeriggio arrivarono il Re e la Regina, andarono a trovare i feriti in quel che restava dell’ospedale, lasciarono duecentomila lire per le famiglie in maggiore difficoltà, ma nessuno li guardò con occhio benevolo, mentre piangeva un familiare morto o disperso quella mattina, in cui l’aria di festa che nonostante tutto si respirava, aveva lasciato posto al fumo, alla polvere della macerie, alle vite spezzate. C’era andati di mezzo uomini anziani, donne, ragazzini. Negli occhi dei sopravvissuti ormai si leggeva il terrore.

Per Terni, diventata in seguito bersaglio abituale, non era che l’inizio, il primo di più di cento bombardamenti. Quelli erano i primi di mille morti. Vent’anni dopo la Repubblica Italiana assegnò alla città la medaglia al valor civile per quelle terribili prove sopportate. Una medaglia che non fu nemmeno d’oro.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli