Terni, tra E.On e Erg: l’idroelettrico perduto

Con la gestione, i passaggi di proprietà e quant’altro il territorio non c’entra niente. Si tratta di prenderne atto, però fa un po’ rabbia.

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di Walter Patalocco

Ottocento milioni: tanto vale per la Erg il sistema idroelettrico ternano. E’ questa, infatti, la cifra offerta alla E.On che sta procedendo alla dismissione della sua rete italiana di produzione di energia.

Si parla del principale sistema idroelettrico italiano, di energia pulita e a basso costo, di un’eccellenza. Un sistema che abbraccia un territorio vasto il quale ha inizio in provincia di Macerata, passa per quella di Perugia, quindi a Terni ed infine nel Reatino.

Sedici centrali, sette dighe, bacini artificiali come il Salto ed il Turano, ma anche come Stifone, Corbara, Alviano. Il lago di Piediluco, la Cascata delle Marmore. Che produce elettricità sufficiente a coprire il fabbisogno annuo di cinquecentomila famiglie. In cifre ‘tecniche’ si tratta di una produzione di 1.340 gigawatt, vale a dire un miliardo e 340 milioni di kilowatt/ora con una potenza installata di 531 megawatt.

Un sistema nato, in larghissima parte, ad iniziativa della ‘Terni’, quando la ragione sociale recitava di una società ‘per l’industria e l’elettricità’. Una ricchezza. Poi sacrificata al principio secondo cui una produzione strategica come quella dell’energia non poteva rimanere in mano ai privati.

Ed infatti, un po’ più di mezzo secolo fa passò allo Stato, attraverso la nazionalizzazione che qualcosa fruttò attraverso gli indennizzi ed attraverso la facilitazione tariffaria, andata avanti per decenni, per l’impresa che se l’era vista espropriare.

Un meccanismo che si è sviluppato con il passare dei decenni, quindi, contro il quale forse nessuno poteva niente. E probabilmente era anche giusto, ai tempi, che le cose andassero come sono andate.

In seguito è successo che da strategica e quindi necessariamente pubblica, la produzione di energia è stata venduta ai privati, nel periodo in cui in tutto il mondo ci fu la corsa alle privatizzazioni, nella convinzione che lo Stato imprenditore era ormai roba vecchia, superata, antieconomica.

L’Enel vendette, così come l’Iri. Con la ‘Terni’ anche l’idroelettrico fu privatizzato. Nessuno tentò di opporsi allora, come nessuno nei tempi attuali recrimina per la cessione ai privati dell’energia idroelettrica, di un patrimonio che bene o male era ternano ed umbro. Eppure, tanto per capirsi, è come se un qualsiasi organismo pubblico abbia espropriato l’orto di casa per motivi di pubblica utilità, proprio quel pezzo di orto che noi volevamo coltivare e rendere lussureggiante, e quindi, anni dopo, l’avesse ceduto al nostro vicino che magari ci ha costruito sopra un box auto.

La situazione è questa, irreversibile, in un mondo che è per forza di cose diverso rispetto al millennio scorso: i territori che ospitano gli impianti e che forniscono l’acqua, la materia prima, non c’entrano niente: con la gestione, i passaggi di proprietà e quant’altro il territorio non c’entra niente.

Non c’è niente da fare, sembra. Si tratta di prenderne atto, però fa un po’ rabbia.

 

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