Turismo e cultura sì, ma la settimana corta?

di Walter Patalocco

Dal lunedì al venerdì. E’ la settimana corta, bellezza. Il sabato libero consente di fare ciò che durante la settimana rimane indietro perché il lavoro non lascia il tempo sufficiente. Però, dato che la settimana è corta per tutti, il sabato dove andresti se almeno alcuni servizi non fossero disponibili? E non solo quelli di emergenza: un incendio, un incidente, un ricovero urgente… Si pensi, per esempio, se i cinema rimanessero chiusi sabato e domenica.

Per parlare di Terni, la Cascata delle Marmore ‘lavora’ sabato e festivi dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 21; il sito di Carsulae è visitabile tutti i giorni dell’anno esclusi 1. gennaio e 25 dicembre; museo archeologico, pinacoteca, museo d’arte contemporanea sono chiusi il lunedì, mentre il sabato sono aperti fino alle 24 e la domenica fino alle 20.

E la biblioteca comunale? Quella Bct ‘motore’ di cultura e dibattito perché chiude ogni giorno alle 18 e 30, il sabato è aperta solo dalle 8,30 alle 13 e la domenica è chiusa? Inaccessibile alla generalità dei cittadini proprio quando per loro è più facile utilizzare i servizi (di qualità) resi.

Non basta: è escluso a priori che ci siano turisti che vogliono consultare – per dirne una – le ‘Cinquecentine’ o la raccolta di stampe, tanto più che – almeno negli ultimi anni è stato così – ad agosto la Bct resta per tre settimane ‘per inventario’. Un inventario tanto complicato in una biblioteca che tiene già tutto catalogato.

Il Comune già da ‘qualche assessorato’ s’è posto il problema dell’orario di Bct. Inutilmente. Ogni tentativo s’è infranto su regolamenti e diritti dei lavoratori. D’altra parte i dipendenti comunali, come quelli della Bct, lavorano per 36 ore settimanali: 8–14, dal lunedì al venerdì con due rientri di tre ore al pomeriggio di martedì e giovedì.

L’orario di Bct, è facile notarlo, va già ben oltre, segno che i dipendenti hanno mostrato una certa disponibilità. Ma non basta, visto che si vorrebbe la Bct aperta almeno fino alle 20 (ma c’è chi chiede fino alle 22) sabato e domenica compresi. Per farlo è necessario ricorrere ai turni.

Un sacrificio troppo pesante, sembra, anche perché non ci sono incentivi, ossia compensi in straordinario e maggiorazioni notturne e festive, tutte cose che quando c’è da promuovere l’attaccamento al servizio danno una bella spinta.

Insomma, una mano sulla coscienza, ed una dose di buona volontà. Ma le posizioni sono rigide, e distanti, l’accordo non si trova: colpa della crisi, del patto di stabilità, degli straordinari contingentati. Mancano i soldi. Ma è facile risolvere qualsiasi problema quando si nuota nell’oro. E’ quando c’è da tirare la cinghia che ognuno dovrebbe metterci del suo e spingere dalla stessa parte degli altri. Cosa che però a Terni sembra sia tanto difficile, anche relativamente a questioni risolvibili con poco.

Senza scomodare i grandi problemi cittadini (se non si riesce coi piccoli, figurarsi…) e per restare in tema qualche esempio dal passato. Affinché l’ufficio anagrafe fosse aperto il sabato mattina ci fu lo scontro tra chi sosteneva le esigenze dei dipendenti del servizio e chi quelle degli utenti (altri lavoratori) che aspettavano quel giorno per una carta d’identità o un certificato.

Per non parlare della lunghissima battaglia perché i negozi non restassero chiusi il sabato pomeriggio. Alla metà degli anni ’80 del secolo scorso, Terni era una delle due città di provincia in tutta l’Italia, isole comprese, in cui le saracinesche, di sabato pomeriggio, erano abbassate. L’altra era Como, ma i comaschi il sabato erano soliti prendere il filobus e andare a far spese in Svizzera, dove trovavano prezzi più bassi. Trattative estenuanti– servirono – e la raccolta 22mila firme di cittadini (ad iniziativa della Coop).

Alla fine il Comune prese coraggio, e disse «si apra», ma solo in via sperimentale, per sei mesi. Invernali, è ovvio, perché tanto d’estate «a Terni chi c’è se l’acciaieria chiude per ferie?».

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