di Giovanni Cardarello
E’ stata presentata martedì mattina a Perugia la nuova governance di Ater Umbria, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale che ha il compito di gestire e di assegnare gli alloggi a canone concordato e canone sociale ai cittadini che ne hanno diritto. Alla guida dell’azienda è stato chiamato l’esponente di Alleanza Verdi Sinistra Federico Santi, marscianese, candidato per la lista che ha espresso l’assessore Barcaioli alle recenti elezioni regionali.
Santi che insieme a Barcaioli oltre a presentare il nuovo assetto dell’azienda ha snocciolato i numeri che contraddistinguono Ater Umbria. E sono numeri davvero impressionanti, numeri che fanno paura, numeri che rappresentano non solo un buco enorme nella gestione ma che tracciano i contorni di una realtà complessa da rimettere in sesto.
Vediamoli insieme. Partiamo dal patrimonio, Ater Umbria ha 9.677 appartamenti di cui solo 7.825 hanno inquilini. In sostanza il 20% degli alloggi è sfitto. Di questi il 5% circa è sottoposto a comunicata assegnabilità o ad aste e riserve. Ma non solo. Santi ha rivelato che ad oggi sono almeno 8 mila le domande in coda a cui non si riesce a dare risposta. A questi numeri si aggiunge il dato economico. Dei 7.825 inquilini presenti negli alloggi dell’Ater Umbria poco meno di 2 mila sono morosi. Una morosità che però va distinta tra morosità colpevole e morosità incolpevole. La prima cuba un mancato incasso di 1,5 milioni di euro, la seconda ne produce 10,5.
«Questo fenomeno – ha sottolineato Santi – è prodotto dal forte aumento delle criticità sociali, come dimostrato da tutti gli indicatori macroeconomici degli Istituti che si occupano di questi studi (vedi rapporto Caritas) e da una politica di recupero del credito che nel corso della precedente consiliatura se è andata affievolendo nei confronti di chi potrebbe corrispondere il fitto». Ma non sono solo questa le criticità che attendono Santi. Su tutte il costante aumento delle riconsegne dovuto a modificazioni delle abitudini sociali e alla riforma dell’Isee che, aumentando, «giustamente» sottolinea Santi, i fitti per chi poteva permetterselo, ha prodotto un aumento di utenti che si sono mossi verso la locazione privata. Un fenomeno che produce tre effetti pratici, l’aumento degli alloggi da ripristinare per un costo medio di 30 mila euro ad appartamento, la diminuzione dei fitti utili e la già citata uscita degli utenti.
Ma come si esce da questo stato di cose? Santi individua alcune ipotesi strategiche. «La prima e fondamentale è l’accesso a fondi europei, attraverso la BEI, banca europea per gli investimenti, nazionali, Piano casa, anche se ancora non se ne conosce la natura, e regionali, dove molte regioni prevedono dei fondi strutturali per l’edilizia residenziale, in primis per manutenzioni straordinarie ed ordinarie al fine di restituire efficienza e decoro ai nostri immobili e rispondere prontamente alle esigenze degli inquilini».
Le altre sono in ordine al miglioramento del servizio all’utenza sia per rispondere alle esigenze manutentive che amministrative, lo sviluppo di Comunità energetiche regionali e lo sviluppo di nuovi modelli abitativi come il co-housing. Un ragionamento a parte, in chiusura, è stato dedicato alla riduzione degli alloggi non locati: «Devono scendere del 60% e arrivare sotto alle mille unità immobiliari residenziali».