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Home » Sfrattata: «Trattatemi come gli stranieri»

Sfrattata: «Trattatemi come gli stranieri»

di Marco Torricelli
22 Febbraio 2016
in Altre notizie, Attualità, Cronaca, Portfolio
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
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di M.T.

É stanca, Rosa (la chiamo così, ma non è il suo vero nome) e non fa niente per nasconderlo. Del resto, il suo viso parla per lei, ancora prima che lei inizi a farlo: «Sì, sono stanca – mi dice, seduta davanti a me nella redazione di umbriaOn – soprattutto di bussare, inutilmente, a tutte le porte. Ho chiesto, ho scritto, ho presentato domande per la casa popolare, ma non ho nemmeno ricevuto risposte. Io a volte ho l’impressione di essere trasparente e che la gente nemmeno mi veda più».

La storia La sua, purtroppo, non è una storia rara: «Prima ho perso il lavoro – racconta – poi, non potendo pagare l’affitto, sono stata sfrattata. Da due anni e mezzo vado avanti, io come pure i miei due figli, con lavori saltuari e, quando è possibile, dormo in casa di una persona anziana, in cambio dei servizi che le faccio. Ma non sempre e allora mi devo arrangiare con soluzioni di fortuna. Dormendo con uno dei mei figli».

Perso tutto Per vivere, spiega Rosa, «faccio lavoretti saltuari, ma difficilmente riesco a mettere insieme 200 euro al mese e ne pago 50 di affitto per un garage nel quale ho messo gli scatoloni con quello che sono riuscita a salvare della mia vita e dei miei due figli. Che adesso è tutta lì dentro». I mobili «li ho persi, perché erano ammucchiati all’aperto, coperti con un telo di nylon – i suoi occhi, mentre racconta, sembra che li vedano ancora, quei mobili – ma si sono ormai rovinati e diventati irrecuperabili».

L’assistenza Per mangiare «devo ringraziare un’associazione di volontari che, una volta al mese, ci offre dei prodotti alimentari e mi ha anche dato delle medicine quando sono stata male». Ma non è questa la vita che Rosa vuole continuare a vivere: «Vita? La chiami vita, tu? Avevo un lavoro, una casa, speravo di poter trascorrere una vecchiaia normale e, invece, mi sono ritrovata a dover chiedere ospitalità anche per fare una docccia e a mangiare quando capita. No, questa non è vita».

La casa Per la casa popolare «mi è stato detto che non ho abbastanza ‘punti’. Capito perché dico che questa non è vita? Perché viene calcolata ‘a punti’ – dice Rosa – e mi hanno promesso che potrei essere presa in considerazione per quel progetto che chiamano degli affitti solidali: una specie di casa a parcheggio, se ho capito bene. Ma io non voglio essere parcheggiata da nessuna parte. Io voglio lavorare ed avere una casa vera, stabile».

La solidarietà L’aiuto di chi la conosce, spiega, «non mi è mai mancato, perché alcune delle persone che conoscono la mia storia, che sanno di come fosse la mia vita prima che succedesse tutto questo, non mi hanno voltato le spalle ed io non posso che dirle loro grazie». Ma è anche di questo, di dover dire sempre grazie «che sono stanca e questa mia stanchezza si sta trasformando in rabbia, soprattutto perché non vedo prospettive nemmeno per i miei figli e li vedo diventare, anche loro, sempre più impazienti. E ho paura, perché sono loro gli unici motivi di speranza che mi restano».

L’appello Ecco perché Rosa arriva a dire: «Vorrei che ci si dimenticasse del fatto che sono italiana e mi si trattasse come un’immigrata qualsiasi. A loro vengono offerte, giustamente, delle opportunità di lavoro e anche delle sistemazioni. Ecco, io vorrei solo questo: un lavoro, un qualsiasi lavoro, che mi permetta di tornare ad essere autosufficiente ed un tetto sopra la testa. Poi, come ho sempre fatto, non darò mai più fastidio a nessuno».

 

 

 

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