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Home » Terni, tangentopoli non ha insegnato nulla

Terni, tangentopoli non ha insegnato nulla

di Francesca Torricelli
29 Dicembre 2016
in Il corsivo, Politica
Tempo di lettura: 2 minuti di lettura
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di Walter Patalocco

Non si capisce se chi ricorda che sono passati venticinque anni dalla ‘tangentopoli’ lo dice con soddisfazione oppure con rassegnazione. L’inchiesta ‘Mani Pulite’ cominciò 25 anni fa a Milano, ma poi si sviluppò in mille rivoli. Uno di questi passò per Terni. E fu devastante.

Non solo perché si scoprì che il sistema dei finanziamenti illeciti, e più in generale l’intreccio tra politica e affari era così vasto da permeare la gran parte dei lavori pubblici e della gestione dei servizi. Terni per la vastità che assunse l’indagine sembrò diventare un grosso punto nero in una verde isola. Se c’era un posto dove s’annidava il malaffare in Umbria, sembrò che esso fosse Terni. Nel resto delle istituzioni locali umbre, infatti, che pure non furono giudicate del tutto esenti da colpe, gli effetti furono sensibilmente più contenuti. Nell’immediato – qualche sporadico arresto – e per i tempi successivi.

A Terni, no. Il risultato di quell’inchiesta non fu solo la destabilizzazione del sistema dei partiti. La tangentopoli ternana determinò, infatti, e prima di tutto la decapitazione di un’intera classe dirigente che stava formandosi.

La stessa che s’apprestava a sostituire quella che aveva preso per mano la città e l’aveva portata a risollevarsi dalle ferite profonde e della guerra; che l’aveva condotta ad affrontare i tempi difficili della riconversione produttiva con migliaia di licenziamenti e altrettante famiglie sul lastrico; che la stava faticosamente guidando fino a permetterle di traversare con danni limitati, tutto sommato, la difficile fase della deindustrializzazione della seconda metà degli anni Ottanta.

Vivendo queste esperienze, mettendo a frutto quegli insegnamenti, stava affacciandosi una generazione nuova. Fu spazzata via. Per propria colpa, prima di tutto. Non avendo compreso in tempo la grave involuzione sistema e poi alla sua decadenza. In ritardo, comprese. Dando anche il via a iniziative che miravano a introdurre seri correttivi. Non fece in tempo. Arrivò prima la magistratura.

“Ci vorranno almeno trent’anni prima che la città si riprenda da questa scoppola”, si diceva allora. L’effetto immediato fu il reagire da parte della città che cercò un rinnovamento profondo, sostenuto anche da parte di una borghesia – limitata nella consistenza e nello spirito dì iniziativa – che s’era sempre adattata.

Da lì nacque l’esperienza Ciaurro. Finita presto e male perché ben presto l’ex segretario generale della Camera dei deputati, il ternano cresciuto e pasciuto in altre lande, rimase presto solo, avversato anche dentro casa sua.

I pochi superstiti di quella classe dirigente spazzata via allora ricoprono ruoli decisivi e di primo piano ancor oggi, nell’attesa che qualcosa di nuovo nasca. Pare impresa difficile, resa ancor più difficile da una deriva sempre più “Lockiana” di una parte consistente della comunità locale.

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