La rivelazione relativa alla legge sul testamento biologico è contenuta in un articolo, pubblicato giovedì su quotidianosanità.it è firmato da Antonio Panti, storico presidente dell’Ordine dei medici di Firenze.
«Da tempo – scrive Panti – si dibatte su queste problematiche e i medici e i pazienti con le loro famiglie hanno dato risposte che era tempo di tradurre in norme, non per ridurre a legge la irriducibile complessità della vita e della morte, ma per dare certezze giuridiche a chi affronta questi eventi rispetto a quella ricerca di senso cui ognuno ha diritto di dare la propria risposta. Ne scrivo ancora per ricordare come la legge riprenda lo spirito, se non quasi la lettera, del documento preparatorio della FNOMCeO (la Federazione nazionale degli ordini dei medici vhirurghi e degli odontoiatri; ndr) discusso a Terni il 13 giugno 2009 e del Codice deontologico approvato a Torino nel maggio 2014».
Il ‘documento di Terni‘ Nel 2009 a Terni, ricorda Panti, si fermava che “affrontare con legge un tema siffatto significa assumere quei principi etici che rilevano quando ogni essere umano, dinanzi alla malattia ed alla morte, diventa più fragile e pone domande ardue e personali a se stesso ed a coloro che portano l’onere della cura. Ai medici spetta il difficile compito di trovare, all’interno dei suddetti principi, il filo del loro agire posto a garanzia della dignità e della libertà della persona, delle sue scelte, della sua salute fisica e psichica, del sollievo dalla sofferenza, in una relazione di cura tesa a realizzare un rapporto paritario ed equo, capace di ascoltare ed offrire risposte diverse a domande diverse. La Deontologia Medica colloca la relazione fra medico e persona assistita all’interno di un’alleanza terapeutica, espressione di pari libertà e dignità di diritti e doveri pur nel rispetto dei diversi ruoli. L’autonomia decisionale del cittadino, che si esprime nel consenso/dissenso informato, è elemento fondante di questa alleanza terapeutica, al pari dell’autonomia e della responsabilità del medico nell’esercizio delle sue funzioni di garanzia. Ogni alleanza terapeutica, nella sua intimità ed unicità, assume straordinario significato nelle decisioni e nei comportamenti di fronte a condizioni a prognosi infausta e/o in fase terminale e/o caratterizzate da una perdita irreversibile della coscienza. Il medico ha il dovere di accompagnare chi soffre fino al termine della vita quale conclusione di una lunga e solida relazione umana. Secondo il Codice Deontologico il medico infrange il principio dell’obbligo di garanzia quando insiste in trattamenti futili e sproporzionati dai quali fondatamente non ci si può attendere un miglioramento della malattia o della qualità di vita (accanimento diagnostico-terapeutico); il medico lede altresì il principio di giustizia se trascura di offrire un progetto di cura efficace e proporzionato al miglioramento della malattia o della qualità di vita al paziente terminale o incapace o comunque fragile (abbandono terapeutico) e viola, infine, il principio di autonomia del cittadino se insiste nell’intraprendere o nel perseverare in trattamenti rifiutati dal paziente capace ed informato“.
La ‘cornice di legittimità’ Questa legge, chiarisce il dottor Panti, «sembra aver seguito, almeno in parte, la strada di un ‘diritto mite’, limitandosi a definire la cornice di legittimità sulla base dei diritti della persona costituzionalmente protetti, senza invadere l’autonomia del paziente e quella del medico, e quindi evitando di prefigurare trattamenti disponibili o non disponibili nella relazione di cura. A tal proposito cito ancora dal documento di Terni: “In accordo con tutta la letteratura scientifica, la nutrizione artificiale è trattamento assicurato da competenze mediche e sanitarie, in grado di modificare la storia naturale della malattia, calibrato su specifici problemi clinici mediante la prescrizione di nutrienti, farmacologicamente preparati e somministrati attraverso procedure artificiali, sottoposti a rigoroso controllo sanitario ed infine richiedenti il consenso informato del paziente in ragione dei rischi connessi alla sua predisposizione e mantenimento nel tempo. La sua capacità di sostenere funzioni vitali, temporaneamente o definitivamente compromesse, ne motiva l’impiego, in ogni progetto di cura appropriato, efficace e proporzionato, compresi quelli esclusivamente finalizzati ad alleviare le sofferenze. In queste circostanze, le intervenire la scelta informata e consapevole, attuale o dichiarata anticipatamente del paziente e la libertà di scienza e coscienza del medico“. Questi principi hanno contribuito all’elaborazione di questa legge che tuttavia offre ancora molti aspetti sui quali occorre lavorare per renderne effettiva la esigibilità da parte di cittadini».