Una casa semplice ma in ordine e il suo cadavere sul letto: forse si stava coricando quando – ormai un mese fa, almeno – è stato colto dal malore che lo ha poi ucciso nel giro di pochi istanti. Giuseppe aveva 68 anni. Originario della Sicilia, era giunto ad Acquasparta – da Milano – da tre/quattro mesi. In paese pochi lo conoscevano, forse solo di vista. Ogni tanto andava alla Caritas ma, di fatto, era uno dei tanti ‘invisibili’ che abitano questa terra. E ogni volta che ci si trova di fronte a situazioni come questa – con il corpo trovato soltanto sabato mattina dai carabinieri a fronte di un decesso che risalirebbe a prima di Natale, dopo che alcuni vicini hanno segnalato il cattivo odore proveniente dall’abitazione nel centro storico – è naturale interrogarsi se le comunità siano ancora tali. Se ci sia ancora un senso di accoglienza, di appartenenza, di ‘stare insieme’ e la volontà e la gioia di aiutarsi per quanto possibile. E se ci sia bisogno che una comunità che si reputa tale, quando accadono fatti simili al proprio interno, debba chiedere scusa.
La storia di Sergio
Vale la pena, qui, raccontare cosa è accaduto sempre ad Acquasparta lo scorso novembre. C’è un anziano che vive solo, si chiama Sergio ed è tifosissimo della Roma. Anche in ragione di questa passione, frequenta il ‘club’ che raccoglie i tifosi giallorossi del paese, una sessantina per lo più giovani. Si instaura un bel rapporto fra loro e Sergio che, solo e con qualche acciacco, diventa una sorta di ‘nonno’ del gruppo. C’è chi lo chiama, chi si informa sulle sue condizioni, chi si attiva per qualche commissione. E quando Sergio una mattina di novembre si sente male in casa, senza possibilità di chiedere aiuto, c’è chi non vedendolo per qualche ora, prende e lo va a cercare. L’uomo non risponde al campanello e così partono le chiamate ai vigili del fuoco, al 118, ai carabinieri. E ora Sergio, salvato in extremis, si trova in una casa di riposo. Vivo e sempre con la sua Roma nel cuore.
Comunità, nel bene nel male
Due storie simili, finite in maniera opposta. Perché i fattori che determinano il destino sono diversi e talvolta sono soggettivi, casuali, strettamente dipendenti dalle persone con cui si ha o non ha a che fare. Le comunità è giusto che si interroghino, che si pongano ogni giorno il problema se si può fare qualcosa in più e meglio, specie per chi non è autosufficiente. Ma è giusto pure che vadano orgogliose di ciò che di buono c’è e che merita di essere raccontato.