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Home » Ospedali ‘integrati’: «Occhio alle disparità»

Ospedali ‘integrati’: «Occhio alle disparità»

di Fabio Toni
13 Febbraio 2020
in Ambiente e salute, Opinioni
Tempo di lettura: 2 minuti di lettura
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di Claudio Fiorelli
Consigliere comunale M5s Terni

In questi giorni sta ritornando il discorso dell’integrazione tra le due aziende ospedaliere – di Perugia e di Terni – al fine di ‘razionalizzare’ il servizio sanitario. Per quanto sia convinto che una sorta di riorganizzazione debba essere effettuata, quel che mi preoccupa, come ho già avuto modo di dire in passato, è che l’intera operazione venga eseguita accentuando gli evidenti sbilanciamenti già esistenti su un territorio rispetto ad un altro.

Claudio Fiorelli

In tal senso le parole del nuovo assessore alla sanità regionale destano allarme. Non è una banale questione di ‘campanilismo’ ma è indubbio che in Umbria ci sono sostanzialmente due territori, quello del perugino e quello del ternano, con caratteristiche e potenzialità diverse, la cui differenza rappresenta un punto di forza che verrebbe sicuramente livellata da una fusione maldestra, in nome di una legge statale in vigore.

La norma in questione, il DM 70 del 2015, prevede infatti che alcuni reparti di alta specialità – come per esempio la neurochirurgia e la cardiochirurgia – debbano essere uno ogni milione di abitanti ed essendo la popolazione umbra di circa 900 mila persone la Regione sostiene di dover integrare i due presidi. In questo calcolo sarebbe un grave errore non considerare anche la superficie sulla quale tali persone si distribuiscono. Se questo discorso, infatti, può funzionare nella città di Roma dove 900 milapersone costituiscono un solo quartiere della capitale, non può funzionare quando tali abitanti sono dislocati su un territorio che è la metà del Lazio stesso.

Lo stesso decreto, inoltre, prevede anche delle soglie minime del numero di procedure che devono essere svolte dalle strutture affinché queste possano restare operative e garantire una certa qualità del servizio. Dal piano sanitario regionale 2019-2021 si nota che in più di una specializzazione ha difficoltà a raggiungere i numeri prefissati per cui, sempre secondo il DM 70/2015, dovrebbero essere chiuse le stesse strutture lasciando l’Umbria priva delle suddette specialità.

È chiaro che se vogliamo fare gli interessi degli umbri e continuare a rendere attrattive le nostre strutture nei confronti dei residenti delle regioni limitrofe, occorra un lavoro politico ed amministrativo che sappia tenere insieme numeri, costi, qualità e quantità dei servizi, aspetti quest’ultimi tutt’altro che secondari. In questo contesto sarebbe più logico integrare le aziende con le rispettive Usl consentendo, quindi, un maggior coordinamento sul territorio, oggi fortemente slegato.

Negli anni scorsi il gruppo consiliare di Terni dei Cinque Stelle non ha risparmiato critiche nei confronti dell’allora assessore regionale alla sanità sulla questione dell’integrazione delle due aziende, valutazioni condivise ed esposte pubblicamente anche dagli stessi consiglieri della Lega ai quali oggi chiedo se abbiano d’improvviso cambiato idea. Noi chiediamo che le strutture presenti a Terni devono essere considerate irrinunciabili. Chiediamo che tutti gli umbri possano accedere in tempi ragionevoli alle strutture sanitarie, elemento quest’ultimo non secondario per mettere in sicurezza le vite umane. 

Chiediamo anche che il gap che si è venuto a creare con Perugia, dovuto sostanzialmente all’assenza negli ultimi 30 anni di una rappresentanza politica ternana autonoma e motivata, sia colmato. L’ospedale di Terni, per esempio, continua sostanzialmente ad essere una struttura ideata più di mezzo secolo fa che oggi si presenta con problemi logistici, di spazi, di servizi a supporto.  Per non parlare degli ospedali limitrofi di Narni ed Amelia i quali stentano a reggersi in piedi. La sanità umbra non ha bisogno di una Umbria a due velocità ma piuttosto di approcci nuovi, basati sull’ottica di dare servizi realmente efficienti.

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