«Il pericolo è che si stia giocando al gioco del cerino e che questo cerino rimanga in mano ai sindacati. Non possiamo permetterlo. In questi anni sono cambiati i governi, le giunte, ma noi siamo sempre rimasti gli stessi. Ma siamo gli unici a non essere mai stati coinvolti nei tavoli». E’ partita da questa premessa la conferenza stampa tenuta lunedì pomeriggio dalle segreterie territoriali di Fim, Fiom, Uilm, Fismic e Ugl: oggetto lo stallo dell’accordo di programma di Acciai Speciali Terni. La metà di febbraio è ormai passata e i sindacati di categoria avvertono nuovamente: qualora entro il 28 febbraio – data indicata dal ministro Urso come dead line nell’ultimo incontro al Mimit – non si arriverà alla firma dell’intesa si aprirà una nuova vertenza Ast e inizierà di conseguenza anche una nuova stagione di mobilitazione dei lavoratori.
In apertura Alessandro Rampiconi (Fiom Cgil) ha ripercorso tutte le tappe che, dall’annuncio della vendita da parte della vecchia proprietà ThyssenKrupp ad oggi, hanno contraddistinto il percorso dello stabilimento. Una riflessione la sua che, tra le varie cose, si è soffermata su un punto: «Già nell’incontro del 26 maggio 2023 al Mimit l’ad del gruppo Arvedi, Mario Arvedi Caldonazzo, aveva sottolineato che le questioni energia ed infrastrutture erano a latere dell’accordo. La questione energetica c’è prima della questione della discarica, l’azienda la pone e il governo dice che troverà una soluzione». Da allora però sono passati quasi due anni. Oggi, per Rampiconi è fondamentale «non mischiare il piano industriale con gli investimenti sull’ambiente, perché metterli insieme significa creare l’alibi per non fare né l’uno né l’altro». Il segretario della Fiom ha poi annunciato che il 5 marzo si terrà l’incontro richiesto al prefetto sulle questioni ambientali, a cui parteciperanno anche Comune, Arpa, vigili del fuoco, azienda. «Per quello che ci riguarda, accordo di programma o no – ha detto -, gli investimenti ambientali vanno fatti, ora. Quanto all’accordo, sembra di essere dentro a un gioco dell’oca, siamo tornati dal via dopo tre anni. Ora sta in mano all’azienda decidere come continuare. L’ultima data è quella della fine di febbraio, se non si arriverà a una soluzione o ci sarà un’ulteriore data inizierà la mobilitazione».
Simone Liti (Fim Cisl) ha ricordato che «le organizzazioni sindacali sin dall’inizio sono state escluse completamente dal processo di vendita e transizione». «Se naufraga l’accordo di programma, e sembra ci siano le condizioni perfette perché questo accada – ha sottolineato -, ci sarà la necessità di un accordo sindacale che traghetti gli investimenti oppure, dal punto di vista istituzionale, di un patto di territorio. Ai tavoli – ha ribadito – noi non abbiamo partecipato, servirebbe fare chiarezza e capire nel mezzo di questi anni che cosa c’è stato. Già nell’incontro a Roma del 9 ottobre 2024 sull’ accordo programma c’erano dichiarazioni che non collimavano, abbiamo chiesto se erano cambiate le condizioni e c’è stato detto di no, di non preoccuparci. Sta di fatto che non ci sono atti amministrativi che hanno le sembianze di un accordo programma». Anche per Liti occorre «tenere staccati i due temi energia e ambientalizzazione» e sul primo tema «ognuno può costruire idea propria, ma da quando arrivato Arvedi il mondo è cambiato».
Di un «mistero che si cela dietro l’accordo di programma» ha parlato Simone Lucchetti (Uilm), secondo il quale «c’è una presunzione politica-industriale incapace di portare a casa dei risultati. Una presunzione che ha generato questo stato di completo disequilibrio tra quello che si può portare a casa e quello che si porterà a casa». Lucchetti guarda alla riunione del 5 marzo in prefettura come a «un momento di condivisione, perché non si può sempre dire che c’è qualcosa che non va». Sul piano industriale, a preoccuparlo sono le dichiarazioni dell’ad Menecali, riguarda a possibili ripercussioni sull’occupazione. «Per noi gli assetti occupazionali e gli investimenti sono quelli del 1 aprile 2022 (quando è subentrata la proprietà Arvedi, ndr), quella è la direzione in cui Arvedi deve andare. Saremo estremamente determinati anche rispetto alle responsabilità di chi non ha posto le condizioni per arrivare ad un accordo di programma. Ce la prenderemo con tutti quelli che non hanno rispettato gli accordi, le responsabilità dovremo attribuirle».
Anche per Giovacchino Olimpieri (Fismic) è arrivato il momento di dire «basta alibi, di falsità ne sono state dette troppo e quando dette da istituzioni nazionali è un affronto nei confronti dei lavoratori». Per lui di fatto «il piano di investimenti presentato tre anni fa non c’è più, anche sull’ambiente i milioni non sono più 300 ma 200, situazione è completamente cambiata». «E poi che fine ha fatto l’iniziativa annunciata dalla Fondazione Arvedi per un piano di sviluppo del territorio ternano?» si è chiesto. «Noi sindacati – ha aggiunto – non siamo mai stati posti in condizione conoscere le tematiche, ma le subiamo come rappresentanti dei lavoratori. Questa vicenda sta assumendo sempre di più le sembianze della vertenza, qualora il 28 non ci sarà una condizione di certezza». Olimpieri sembra scettico anche rispetto agli annunci del ministro Giorgetti rispetto a interventi sul problema energetico. «Il cdm di lunedì è stato posticipato a mercoledì, ma sembra non ci siano comunque grande cose». Insomma, «siamo arrivati alla resa dei conti. O si trova una soluzione per la sopravvivenza o non abbiamo più grandi spazi di manovra. I problemi annosi legati a energia e infrastrutture sono completamente identici da decenni a questa parte, non è stato fatto nulla».
Infine per Daniele Francescangeli (Ugl), «l’inizio di una nuova vertenza rattrista tutti. Il punto reale è cosa possono fare il governo, le istituzioni con l’azienda, ciò che hanno costruito in questi anni. Bisognerà capire che dopo il 28 febbraio il sindacato saprà fare il sindacato. Dovremo capire che tipo di vertenza e come svilupparla. C’è un piano B e quale sarà?. Il cerino – ha concluso – non è possibile che debba rimanere sempre in mano ai lavoratori»