Avvocatessa ternana coinvolta nell’indagine antimafia: l’ipotesi è tentata estorsione

La 33enne Viola Moretti, residente a Milano, sottoposta all’obbligo di firma. Avrebbe contattato malavitosi per riscuotere un credito

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C’è anche una 33enne di Terni residente a Milano, Viola Moretti, avvocato con titolo ottenuto in Spagna, fra i trenta indagati dell’operazione denominata ‘Medoro’ che, coordinata dalla Dda di Milano nella persona del pm Alessandra Cerreti e condotta dai carabinieri del Ros e dalla squadra Mobile di Milano, ha portato giovedì a tre arresti e all’applicazione di un obbligo di firma nei confronti della Moretti, su ordine del gip milanese Lidia Castellucci.

Le indagini

Il lavoro degli inquirenti si è focalizzato sulle attività e gli interessi di un gruppo ‘ndranghetista collegato alla famiglia Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), ma anche su altre figure ritenute di spicco e facenti capo sia a ‘cosa nostra’ e che alla sacra corona unita. Un giro vorticoso di interessi, tanto sul piano imprenditoriale quanto su quello dello spaccio di stupefacenti. Il gip, secondo il quale non sussistono tuttavia le ipotesi di associazione per delinquere di stampo mafioso e di narcotraffico, ha disposto gli arresti di Luigi Aquilano, genero del boss Antonio Mancuso, al vertice della cosca di Limbadi, Arturo Garofalo, legato a cosa nostra con riferimento ai ‘cugini’ Fontana dell’Acquasanta di Palermo, e Christian Cucumazzo, ritenuto vicino alla Sacra Corona Unita con il clan Strisciuglio di Bari.

L’ipotesi di estorsione

La Moretti è accusata di un tentativo di estorsione nei confronti di un piccolo imprenditore, con cui aveva avuto una relazione e nei confronti del quale l’indagata vantava un credito di circa 44 mila euro. Secondo gli inquirenti, l’avvocatessa si sarebbe rivolta a tre soggetti – legati rispettivamente alla ‘ndrangheta, a cosa nostra e alla sacra corona unita – che avrebbero poi messo in atto pesanti minacce, intimidazioni e appostamenti nei confronti della vittima per costringerla a restituire la ritenuta dovuta e ‘maggiorata’ del compenso per gli ‘esattori’. «Le attività svolte dalla squadra Mobile – riporta una nota della procura di Milano – consentivano di dimostrare che la donna si era rivolta ad un individuo contiguo alla nota famiglia di mafia Fontana (cosa nostra siciliana), il quale sollecitava a sua volta l’intervento di altro soggetto già emerso dall’attività dell’Arma dei carabinieri che si qualificava come un ‘Mancuso’ (‘ndrangheta calabrese), nonché di un individuo riconducibile alla sacra corona unita il quale, pur essendo detenuto, riusciva a trasmettere, tramite uso di telefono cellulare e applicativo Whatsapp, messaggi fortemente intimidatori anche con il supporto di foto di micidiali armi da guerra. Le indagini tecniche dimostravano, pertanto, l’esistenza di un allarmante scenario criminale riconducibile che induceva la direzione distrettuale antimafia di Milano ad intervenire per interrompere le condotte criminose e tutelare l’incolumità della persona offesa».

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