Alla fine c’è stato un solo voto contrario, contro i 12 favorevoli. Ma il risultato – decisive sono state le sei astensioni, sui 19 votanti – è stato comunque un ‘no’. Il consiglio della Camera di commercio di Terni – per approvare la proposta serviva la ‘maggioranza qualificata’ dei due terzi – ha di fatto ribaltato la decisione presa a maggioranza dalla giunta esecutiva e ha stabilito che della fusione con quella di Perugia, almeno per adesso, non se ne parla.
Il dibattito La fusione – o accorpamento, i termini si sono accavallati – ha esordito il presidente, Giuseppe Flamini, «non è in discussione, perché il governo ce lo ha detto chiaro e tondo: o la decidiamo noi, o ci verrà imposta. Quindi la giunta ha ritenuto opportuno avviare un processo che ci permettesse di governarla», incassando la replica di Sandro Corsi, l’unico che poi avrebbe votato contro e che rappresenta il mondo della cooperazione sociale: «Non c’è nessuna legge che impone di andare in questa direzione, mentre l’unica affermazione certa fatta fino ad oggi è quella del presidente della Camera di commercio di Perugia, che ci ha già mandato a dire che il 20% di incremento di spesa deliberato lassù per sostenere le spese relative alle opere del ‘quadrilatero’, sarà fatto pagare anche a noi».
Il fondo perequativo Uno dei motivi per i quali c’era chi, in giunta come in consiglio, premeva per accelerare il percorso di fusione, è rappresentato dal «fondo perequativo (si tratta di 193mila euro; ndr) che ci viene messo a disposizione, da Unionicamere – aveva detto ancora Flamini – in caso di accettazione del processo di fusione e che, per una Camera di commercio come la nostra, che è tra le 54 su 105 in ‘regime di rigidità ’, potrebbero rappresentare una boccata di ossigeno e rinunciarvi a cuor leggero non ritengo sia opportuno».
La perdita di identità Chi, invece, ha espresso perplessità o si è decisamente schierato contro il processo di fusione, almeno alle condizioni attuali – tra i favorevoli si è parlato di «gettare il cuore oltre l’ostacolo», mentre tra i contrari si è detto che il rischio era di «firmare una cambiale in bianco» – ha fatto riferimento alla possibile composizione degli organi dirigenti dell’eventuale Camera di commercio dell’Umbria: «Si ipotizza un consiglio direttivo composto da 33 persone, i due terzi delle quali sarebbero espressione perugina e con un presidente eletto da una maggioranza qualificata che precluderebbe qualsiasi possibilità per un rappresentante ternano».
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