Castelluccio di Norcia: Antonio ‘dispensatore di felicità’ non ha mollato. E ha vinto lui

La storia del giovane ristoratore che è ripartito dopo il terremoto, quando la cosa più semplice da fare era andarsene

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di Gabriele Ripandelli

La casa dei suoi zii distrutta. I resti di quella dove era cresciuto. Quell’altalena dove giocava da bambino. Immagini tremende, di distruzione, sono riaffiorate alla memoria di Antonio Barcaroli lo scorso 9 marzo quando sul suo cellulare, come su quelli di tanti altri umbri, è arrivata la notizia delle scosse con epicentro Umbertide. I danni alle abitazioni, la gente sfollata e spaventata. Gli effetti del terremoto su Pierantonio hanno riportato la mente di molti a 2.389 giorni prima. Pesa ancora a Norcia e nella ‘sua’ Castelluccio quel vuoto creato il 24 agosto 2016. «Chi lo ha vissuto in prima persona, non sottovaluta mai un terremoto. Sono gravi i danni fisici e quelli psicologici ma è possibile ripartire» afferma Antonio che ha scritto una bellissima storia di rinascita in un territorio ricco ma ostico.

La famiglia

Negli astri dell’imprenditore 31enne c’era scritto che avrebbe dovuto lavorare nel settore enogastronomico. Fin da bambino amava stare in mezzo agli animali: «Quando ero piccolo – ricorda – nonno Scapinello mi metteva in groppa alle vacche e giocavamo a riconoscerle». Passare dal giocare con loro al trarne i prodotti della tavola non è stato uno shock: «Era un momento di grande festa quando si otteneva la carne da un maiale di grandi dimensioni che ti permetteva di mangiare per molto tempo». In famiglia c’è anche una tradizione lavorativa nel settore: «La prima a stare in un ristorante è stata nonna. Mia madre è una cuoca bravissima e per questo l’ho voluta nel mio locale quando era richiesta da tanti. Papà Natale lavora i campi e ogni tanto dà una mano in cucina. Prepara la carne e dice che sui piatti lasciano solo gli ‘stecchini’ (ossa sottili, ndR)». Così dopo essere stato un giovane cameriere, con poca voglia di ricevere gli ordini, si è dato ai mercati con la sua bancarella di prodotti tipici di Norcia.

Antonio Barcaroli

Un territorio difficile e meraviglioso

«Un anno ho percorso 200 mila chilometri stando sempre in giro nei weekend». Ricorda con piacere il suo periodo da mercante di prodotti tipici. Una vita sicuramente non facile, quella di Antonio Barcaroli: «Molti credono che basti prendere un bancone dove mettere i prodotti e finisce là. Ci sono licenze e accordi da prendere. Poi con il caldo e il freddo, il sole e la pioggia devi stare lì e alcune condizioni climatiche non fanno bene ai prodotti». Per lui Castelluccio di Norcia è sempre stata la sua casa e promuoverla in giro per l’Italia non era che un piacere. Così, quando dopo il sisma del 2016, la via più facile poteva essere quella di andarsene e cercare fortuna altrove, ha rilevato un ristorante e lo ha ribattezzato ‘Da Mamma Ida’. «Credo che restare qua è ciò che più lontano possa esistere dalla comfort zone. Mio nonno, ad esempio, diceva sempre che se ti prende un colpo ci resti perché l’ospedale più vicino dista un’ora. E’ una zona dove non prende il telefono, bisogna svegliarsi presto e fare la doccia gelata. Questi sono solo alcuni dei tanti aspetti. Sarei potuto partire e andare chissà dove, come hanno fatto molti miei compaesani. Niente però potrà comprare lo spettacolare tramonto che si mostra dinanzi a me quando esco dal lavoro né l’incantevole natura nella quale siamo immersi».

Il ‘dispensatore di felicità’

Così Antonio e mamma Ida da anni accolgono i turisti che decidono di fermarsi per mangiare da loro: «I periodi dove lavoriamo di più sono quando la neve ricopre le cime e con la fioritura, ma anche negli altri periodi c’è sempre qualcuno. Crediamo di rappresentare a nostro modo un motore di ripartenza per il territorio». Fare l’oste gli viene abbastanza naturale tanto che c’è chi lo ha ribattezzato ‘dispensatore di felicità’, un soprannome di cui va molto fiero. Con il tempo ha imparato a comportarsi in base a chi ha davanti: «C’è chi quando arriva, vuole il suo spazio riservato e allora ti limiti a portare il cibo. Altri amano invece conversare e conoscere cose del posto o ìciò che gli fai arrivare in tavola e per fortuna ho memorizzato molte informazioni». In quello che è uno dei tanti crocevia di popoli e regioni che si trovano in Italia, non si perde il senso di appartenenza con l’Umbria: «Si sentono diversi accenti tra i tavoli della mia osteria: marchigiano, abruzzese, laziale e tanti altri. Ci sono spesso anche stranieri da Israele e dal Brasile. Io mi rispecchio però molto nell’Umbria». L’oste chiude la porta, sale sulla sua moto e si gode le curve che lo portano verso casa. Non sempre un supereroe indossa mantelli o maschere, lancia raggi laser o vola. A volte basta un grembiule e il superpotere dell’empatia.

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