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Chi guiderà l’Umbria: Terni, voce flebile

di Fabio Toni
5 Ottobre 2019
in In evidenza, Opinioni, Politica, Regionali 2019
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
Terni

Terni

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di F.T.

Andrea Romizi è stato il primo a spostare l’ago della bilancia politica verso il centrodestra in Umbria, quando ancora il Pd – nel 2014 sconfisse Wladimiro Boccali – dettava legge. Donatella Tesei, da Montefalco al Senato, ha avuto le massime benedizioni leghiste, da quella del vice premier Matteo Salvini a quella di un big come Stefano Candiani. Ed è la candidata in pectore. Marco Squarta ha con sé Giorgia Meloni e la ‘carica’ di un partito – Fratelli d’Italia – che ancora si stropiccia gli occhi per gli ultimi risultati raggiunti. Roberto Morroni è la carta di Forza Italia per dire ‘al tavolo ci siamo anche noi con un profilo di spessore’.

I nomi e le origini anagrafiche non sono indicativi di ‘ciò che sarà’, su questo si può essere d’accordo. Ma quando un territorio come quello di Terni – e in più in generale della sua provincia – con una presenza di multinazionali, un Pil e soprattutto potenzialità di sviluppo che vanno oltre l’arida quota di «1/9 della popolazione umbra», sembra completamente fuori da un dibattito che finora si è sviluppato tutto altrove, forse – forse – un problema continua ad esserci.

Il ‘campanile’ è questione vuota e inutile se riferita a questioni di piccolo cabotaggio, come può essere uno stadio, una lite per posizioni che nulla hanno a che vedere con la vera gestione del potere in Umbria. Diventa un elemento, quello anagrafico, un po’ più interessante se invece si va a guardare chi e cosa la città è pronta ad esprimere per una tavola che sembra già imbandita da altri. Quando al di là della politica, che non sempre è decisiva, le stesse figure apicali nella dirigenza della Regione, delle strutture sanitarie, dei primariati, da diverso tempo a questa parte hanno visto ‘Terni’ ritirarsi come un’onda sulla battigia.

C’è una ragione per tutto ciò? Che i giochi siano già fatti? Forse – in parte – sì. Ma se si vuole ipotizzare un’analisi appena più ampia e approfondita, si può guardare – in questa fase – anche a differenze sostanziali, di natura politica e tutte relative al centrodestra fra Perugia e, appunto, Terni. Dopo la prima affermazione di Andrea Romizi nel capoluogo, lì si è saputo costruire un percorso, una ‘squadra’ che, con il vantaggio del tempo, ha affermato un proprio punto di vista, una propria visione almeno politica.

E Terni? La città è uno dei simboli, fra i principali, dell’avanzata nazionale della Lega salviniana. Ma a questa sorta di primato, almeno nell’Italia mediana, probabilmente non ha ancora fatto seguito una capacità organizzativa e di scouting all’altezza. Per essere più chiari, due assessori comunali in quota Lega e comunque ternani come Enrico Melasecche e Valeria Alessandrini, sembrano in rampa di lancio verso la Regione, così come la consigliera comunale Giulia Silvani. Ma il partito di Salvini, oltre ad essere commissariato, dà l’idea di annaspare quando si tratta di far emergere figure già presenti e nell’intercettarne di nuove, capaci e pronte a spendersi in politica con autorevolezza. Servirebbe altro tempo, quando invece ce n’è sempre poco.

L’impressione è che fra i vari gap Conca-Umbria, continui ad essercene uno chiaramente politico. Forse non è un caso che la ‘Terni verde’ non abbia un proprio parlamentare a rappresentarla, a prescindere dall’impegno di chi c’è. Un trend che si pensava invertito definitivamente, sulla scìa del clamore di tutti i risultati messi in fila dal partito di Salvini nelle tappe elettorali dell’ultimo anno. Invece il clima è tiepido.

Non è detto che qualcosa non cambierà, anche se serve una spinta che ad oggi – almeno a livello di dibattito, salvo poche eccezioni – non è ancora emersa. Pochi slanci, quando invece c’è da battersi anche per le occasioni perse e le porte in faccia. Campanile? No: politica, personalità, coerenza con il mandato elettorale e amore per un territorio che, sì, è più piccolo di un quartiere della capitale, ma che non vorrebbe più essere guadato, da taluni, come si guarda la punta delle proprie scarpe.

PS. In questa breve riflessione non si ragiona di Pd. Perché il partito che per lustri – sotto varie forme – ha dominato la scena, ora è in una delle fasi più delicate della sua storia, immerso in temi ancora piuttosto distanti dall’orizzonte-regionali. E perché se ad oggi dovessimo pronosticare un esito, con sincerità e senza ipocrisie di comodo, questo vedrebbe il centrodestra in vantaggio. Ragionamento simile per il M5s che attraversa, a livello nazionale e quindi a cascata, una fase di riorganizzazione che ancora non è chiaro dove porterà. Tempo ce n’è per tutti, ma chi si è già posizionato ha i suoi bei vantaggi.

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