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Home » Confindustria Umbria: «Non rimanere fermi»

Confindustria Umbria: «Non rimanere fermi»

di Redattore
7 Novembre 2018
in Dal territorio, Economia, Imprese, Lavoro
Tempo di lettura: 6 minuti di lettura
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Il concetto chiave è quello del movimento, della necessità, dell’impossibilità quasi di rimane fermi. Poi ognuno lo declina a modo suo. C’è chi illustra teorie economiche, chi cita invece un racconto di Lewis Carroll, chi infine ricorda di aver portato avanti l’orologio di un quarto d’ora negli uffici della sua azienda. Ma il senso è lo stesso. Se si sta fermi si arretra perché gli altri camminano. Non a caso il titolo della tavola rotonda era: ‘Il cambiamento come motore dello sviluppo e della competizione’.

BOCCIA: «IN UMBRIA PIÙ INFRASTRUTTURE»

L’assemblea di Confindustria

Ad animarla l’amministratore delegato di Pininfarina Silvio Angori e il presidente di Avio Aero Riccardo Procacci. Moderatore Marco lo Conte, giornalista del Sole 24 Ore. Poco prima, dopo i saluti del sindaco di Assisi, l’intervento del presidente Antonio Alunni, che ha di fatto aperto la parte pubblica della parte pubblica dell’assemblea di Confindustria Umbria. A seguire, l’intervento della Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini. In chiusura, il presidente nazionale Vincenzo Boccia.

Il discorso di Alunni

Quando nel suo discorso Alunni dice «meritiamo un applauso», l’applauso parte davvero e lo fa pure lui, dal podio degli oratori sul palco del teatro Lyrick di Assisi, dove sta presidendo l’assemblea generale di Confindustria Umbria. Il presidente parla al leader nazionale Boccia e davanti a tutti i rappresentanti istituzionali del territorio.

L’industria non è il problema, ma la soluzione

«L’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, settimo nella classifica mondiale per Pil. La bilancia commerciale italiana è in attivo di circa cinquanta miliardi di euro, mai così tanto nella storia repubblicana. L’export manifatturiero è componente primaria di questo avanzo. Non esiste un modo intellettualmente onesto per sminuire questi numeri. Essi dimostrano che l’industria italiana sta facendo la sua parte per la prosperità generale dell’Italia. Lo voglio rivendicare con orgoglio, perché spesso, troppo spesso, si rimprovera all’industria di non fare abbastanza. La si accusa di non creare abbastanza ricchezza, di non creare abbastanza posti di lavoro. Queste accuse non hanno ragion d’essere. L’industria non è parte dei problemi dell’economia e della società italiana. L’industria è parte della soluzione. Lo è oggi, e lo è sempre stata».

Colpite le industrie con meno capitale

Marini e Porzi

«La crisi finanziaria ha certamente colpito la parte più debole dell’industria, quella meno capitalizzata e che aveva un livello tecnologico comparativamente meno avanzato. Ma nessuna parte significativa del settore industriale italiano è entrata in crisi perché gli industriali abbiano perseguito obiettivi speculativi o perché non si siano impegnati al loro meglio per far funzionare bene le proprie imprese. Vi sono stati comportamenti opportunistici da parte di alcuni, ma non vi è stata alcuna responsabilità generalizzata del mondo imprenditoriale. Purtroppo, noi sappiamo che l’impegno costante degli imprenditori e dei loro collaboratori molte volte non è sufficiente ad assicurare il successo delle imprese».

Manufatturiero settore non protetto

«Il mercato non remunera i meriti morali, ma remunera i contributi oggettivi che ogni impresa apporta alla produzione e allo scambio. Questo è tanto più vero in una economia che si è dapprima internazionalizzata e poi globalizzata in un periodo incredibilmente breve, nella quale le aziende competono con altre aziende poste a migliaia di chilometri. Il settore manifatturiero è stato senz’altro quello più esposto a questa crescita esponenziale della competizione. E, vorrei aggiungere, è stato quello che meno ha goduto di protezioni, dirette o indirette. Un fatto, questo, che viene troppo spesso dimenticato».

Capitalismo è cambiamento

«È del tutto naturale che le persone aspirino a un ambiente economico che non sia soggetto a cambiamenti che sfuggono al loro controllo. Un ambiente economico in continua evoluzione, e anzi in continua rivoluzione, ingenera timori per l’avvenire. Ingenera un senso di mancanza di controllo sulle proprie vite e quelle dei propri figli. Tutto questo è comprensibile, e non può e non deve essere ignorato. Ma la soluzione alle giuste domande e aspettative dei cittadini non può essere rallentare, o addirittura arrestare, il progresso dell’economia di mercato. L’economia di mercato non può essere stazionaria o conservatrice. L’economia di mercato è sempre rivoluzionaria, ed è dalle rivoluzioni che deriva la ragionevole speranza di un futuro migliore. La stasi non significa certezza. Al contrario, la stasi aumenta l’incertezza, e porta a un futuro in cui i figli staranno peggio dei loro padri».

Non critichiamo la nostra scuola

«Se rivendichiamo, come facciamo orgogliosamente, il ruolo di leadership a livello europeo e mondiale della nostra industria, allora non possiamo indulgere nella retorica negativa per cui il sistema formativo italiano, da quello scolastico a quello universitario a quello professionale, sarebbe del tutto inadeguato. La dedizione della migliore classe imprenditoriale del mondo non potrebbe far fronte alla competizione internazionale se essa avesse a disposizione un capitale umano di scarsa qualità. Certamente vi è molto da fare per migliorare il sistema formativo italiano. Vorrei però evidenziare in modo chiaro come i limiti attuali non sono tanto limiti qualitativi, quanto limiti quantitativi. Il nostro sistema formativo produce figure professionali spesso di ottimo livello, ma in numero inadeguato. La formazione è sicuramente un compito ed una prerogativa delle istituzioni pubbliche. Ma noi come imprenditori, e come associazioni di imprenditori, abbiamo il dovere di impegnarci per sostenere il miglioramento qualitativo e quantitativo della formazione. Per farlo non dobbiamo cercare necessariamente modelli di altri paesi. Basterebbe diffondere ovunque dei modelli di cooperazione tra istituzioni formative, imprese e associazioni di imprese che da tempo sono in atto in molte parti del paese, compresa la nostra regione».

Rapporto con estero non sia asimmetrico

«In una economia globalizzata non vi è nulla di negativo nel fatto che delle aziende italiane vengano acquisite da aziende straniere. È parte della dinamica del capitalismo. Ma è invece del tutto negativo il fatto che il fenomeno sia asimmetrico, ovvero che l’acquisizione di imprese estere da parte di imprese italiane sia molto più limitato. Mi limiterò semplicemente a ricordare il caso dei rapporti tra Italia e Francia. Le acquisizioni di imprese italiane da parte di imprese francesi sono in valore oltre il doppio delle acquisizioni di imprese francesi da parte di imprese italiane. E, fatto non meno significativo, le acquisizioni francesi riguardano imprese o gruppi di grandi dimensioni, mentre le acquisizioni italiane di imprese francesi quasi sempre riguardano piccole o medie imprese».

Rapporto con le banche sia virtuoso

«Bisogna ritrovare un rapporto virtuoso e diffuso con il sistema bancario, condizione necessaria per lo sviluppo dei nostri progetti industriali e per la formazione di nuovi imprenditori. Non è quindi solo poter accedere al credito in condizioni di sostanziale parità con le aziende dei Paesi con i quali siamo in competizione ma, altresì, poter dare quelle risorse indispensabili per la nascita di nuove imprese. Si è fatto molto, ma molto deve essere ancora fatto. In particolare, bisogna agire affinché l’accesso al credito sia garantito, su di un piano di parità, a tutte le aziende, indipendentemente dalle loro dimensioni, e indipendentemente dalla loro collocazione geografica».

Protagonisti nel territorio

«Dobbiamo ritornare ad essere protagonisti e vicini alle esigenze dei nostri territori attraverso un rinnovato impegno nella vita culturale, educativa, artistica, nel sostegno ai meno fortunati. L’industria trae la sua ricchezza dai territori, e se i territori non saranno prosperi in benessere materiale e in capitale umano la fonte della ricchezza verrà meno. L’industria è al centro di una rete complessa. Non è un’isola, e non potrebbe vivere e prosperare su un’isola. Ricordiamocelo ogni giorno che andiamo nelle nostre aziende».

Catiuscia Marini: «Europa stia più vicina al territorio»

«Il presidente Antonio Alunni – il commento della presidente della Regione -ha svolto una relazione dalla quale emerge, giustamente, l’orgoglio dell’industria nei processi di innovazione, modernizzazione, sviluppo e crescita del Paese e, dunque, della nostra regione. Ho sottolineato ‘giustamente’ in quanto l’industria non è parte dei problemi dell’economia e della società italiana, ma la soluzione, in quanto rappresenta uno dei grandi fattori per sostenere la crescita ed il lavoro. Questi anni ci hanno posto di fronte la sfida del cambiamento, sia nella declinazione della crisi, con il carico di questioni sociali ed economiche ancora oggi aperte come la disoccupazione, la deindustrializzazione, la perdita di lavoro e di imprese; sia – e paradossalmente – rispetto all’opzione della forte carica di innovazione, di più ricerca scientifica, più tecnologia che ci ha imposto la sfida di ‘Industria 4.0’. Ci siamo trovati, in sostanza, di fronte alla duplice sfida di affrontare per un verso una grave crisi economica, e per l’altro sostenere contemporaneamente i processi di innovazione e crescita. Abbiamo bisogno di più Europa. Un’Europa che deve essere riformata, cambiata, modernizzata, avvicinata alla dimensione quotidiana delle persone, delle imprese, delle istituzioni locali».

Vincenzo Boccia: «Fatto lavoro di negatività cosmica»

Il presidente di Confindustria nazionale ha messo in evidenza che «solo il 30% dei nostri concittadini sa che siamo un paese alla avanguardia nella manifattura, secondo a livello europeo, nonostante le imprese italiane paghino il lavoro 20% in più e l’energia il 30% in più; nonostante non ci sono infrastrutture all’altezza della situazione. Siamo un paese che ha una percezione di sé peggiore di come il mondo ci percepisce. Abbiamo fatto un lavoro di negatività cosmica. Purtroppo il cambiamento in politica non sempre fa rima con miglioramento. Quando si cambia si può anche peggiorare perché se aumenta lo spread le cose peggiorano. Chiedetelo a chi ha un mutuo. Secondo me la politica dovrebbe avere il coraggio di parlare di lavoro. Gli italiani vogliono lavoro non sussidi. E le imprese e le infrastrutture sono il luogo dove nasce l’occupazione. Occorre lavorare affinché l’industria italiana sia ad alto valore aggiunto, alta intensità di investimento e ad alta intensità di produttività».

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