Il comitato ‘A scuola – Umbria’, associazione di genitori e docenti da novembre scorso sta sostenendo l’esigenza di difendere il diritto all’istruzione, e aderisce alla nascente rete nazionale scuole in presenza, al fine di portare in luce il gravoso problema italiano, nazione in cui le scuole sono state chiuse più che nel resto d’Europa. «Ripetiamo con forza e determinazione a tutti quelli che lo contestano, e che ci hanno anche preso di mira via social – sono partite azioni legali anche su questo fronte – che non neghiamo la gravità della situazione epidemiologica, ma contestiamo il modus operandi della Regione, che sembra abbia come unico scopo quello di chiudere le scuole. Dopo l’ordinanza di venerdì sera, ne siamo ancora più convinti».
«La chiusura delle scuole non aiuta a ridurre il contagio»
Il comitato, in una conferenza online svolta sabato pomeriggio, ha spiegato che «la nostra tesi non è solo di tipo ideologico, ma è supportata da dati e da evidenze scientifiche, è proprio a questo riguardo che oggi sono qui con noi Sara Gandini, già premiata come migliore scienziata dell’anno 2020, epidemiologa e biostatistica dell’Università Statale di Milano; Maria Luisa Iannuzzo, specialista in medicina legale; Clementina Sasso, astrofisica. I loro studi, ormai ben conosciuti in tutto l’ambito scientifico sostengono con fermezza che la chiusura delle scuole non aiuta a ridurre il contagio, ma che attraverso i protocolli attuati ed il tracciamento la scuola risulta un ambiente sicuro».
I dati della Regione
In questo periodo, grazie a Francesca Leone, statista e presidente del comitato, «abbiamo potuto in maniera sistematica analizzare i pochi dati che la Regione fornisce ai cittadini attraverso il dashboard, e da tali dati non si evidenzia come riporta il nostro avvocato una situazione tale da giustificare la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado. Studiando il dashboard si segnala che la Regione Umbria dimostra scarsità di dati pubblicati, se non totale assenza, in particolare sulla popolazione scolastica, sui tracciamenti, sulla diffusione delle varianti e persino incongruenze tra i dati riferiti ai diversi livelli territoriali».
I ricorsi al Tar
L’ultimo ricorso presentato al Tar Umbria «descrive la scarsa legittimazione e giustificazione delle scelte prese sulle scuole: non emerge a nostro avviso, né dai verbali del Cts né tra le premesse delle ordinanze – spiegano – alcuna base scientifica che dimostri il nesso di causa effetto tra la chiusura delle scuole ed il miglioramento del quadro epidemiologico, che ad oggi in Umbria, non sembra essere particolarmente migliorato tra prima e dopo la chiusura delle scuole; in particolare nella permanenza periodale del numero degli attualmente positivi ogni 100 mila abitanti negli ultimi due mesi e soprattutto nel numero dei nuovi casi positivi, quindi nella diffusione del contagio. Sottolineiamo che l’Umbria non è comunque tra le peggiori regioni nel panorama nazionale, siamo regione arancione. Ma riteniamo che la permanente diffusione del contagio dipenda, o meglio sia dipesa, dalle scuole aperte, bensì che i problemi siano altri, ad esempio il contesto organizzativo del sistema sanitario regionale».
Il sistema sanitario
Il comitato ha lavorato sui Report di Altems – Università cattolica del Sacro Cuore, che ogni settimana riportano la situazione sullo stato della pandemia e i seguenti provvedimenti presi regione per regione: «Collocano l’Umbria tra le peggiori regioni, e in alcuni casi la peggiore, in base a molti degli indicatori che monitorano settimanalmente i modelli organizzativi dei sistemi sanitari regionali in risposta al Covid19. Possiamo osservare un tasso di saturazione delle terapie intensive del 66,1%, il valore massimo in Italia all’8 marzo, ma ricordiamo che prima del decreto Arcuri di maggio 2020 era al 121,7% e che la soglia stabilita con decreto del Ministero della salute è del 30%. Dopo il Molise l’Umbria è la regione dove si sta più ampiamente utilizzando per pazienti Covid la capacità strutturale di posti letto di terapia intensiva, ovvero quei posti letto che dovrebbero essere dedicati a pazienti no-Covid 19, ma non solo, un sovraccarico nell’impiego sui posti letto anche in area non critica, l’Umbria con il 50,70% supera abbondantemente la soglia del 40% stabilita dal decreto del Ministero della salute».
I vaccini
«Si riscontra inoltre un’insufficiente dotazione di personale medico incrementato durante tutta l’emergenza, solo del 3% contro una media nazionale del 7% e un valore massimo del 24% in Molise. Un’impennata della mortalità sia tra i positivi al Covid, sia tra i non positivi, al 1° marzo la percentuale di copertura della prima dose di vaccino somministrata ogni 100 abitanti è pari al 6,72% inferiore al valore nazionale di 7,58% e al massimo valore del 9,46% della PA di Trento. Dai giornali abbiamo più volte appreso – evidenziano – che la situazione all’interno degli ospedali appare gravissima per probabili contagi all’interno degli stessi, dove pare si siano sviluppati i primi cluster delle varianti. Appare altresì evidente che le campagne di tracciamento non sistematiche i cui esiti non sono quindi rappresentativi dell’intera popolazione, con una massiccia campagna di promozione dello screening tra i giovani che rende inconfrontabili i tassi di positività di questi con il resto della popolazione, con varianti che colpiscono di più non solo la popolazione scolastica, ma probabilmente tutta la popolazione».
«I cittadini hanno il dovere di sapere la verità»
L’Umbria è la regione «che ha più a lungo tenuto le scuole chiuse, ma non si può dimostrare che ciò abbia sortito un effetto di riduzione della diffusione del contagio, ma che abbia forse distolto l’attenzione sul vero problema, la gestione del sistema saniotario umbro, per il quale non ci risulta essere peraltro in vigore un piano sanitario effettivamente votato e adottato dal consiglio regionale. A questo punto ci chiediamo su che basi la Regione emetta le proprio ordinanze, e che dati epidemiologici estragga per perseguire su questa strada. Quello che pare evidente però è che questi siano negati ai cittadini, ma dati in pasto alla stampa quando e come essi ritengono più opportuno, e non sono stati riferiti nemmeno nella memoria difensiva della Regione presentata dinnanzi al Tar. La Regione, che dichiara di negare tali diritti fondamentali al fine di ‘avere a cuore la salute dei propri cittadini’ ci dovrebbe spiegare allora perché non ha incrementato il numero dei posti in terapia intensiva, perché non ha assunto medici come nelle altre regioni (Toscana circa 3.000, Umbria circa 50), perché non ha attivato un serio piano vaccinale (siamo i peggiori d’Italia), e sopratutto perché non spiega ai propri cittadini invece di chiudersi nella propria fortezza come mai le varianti brasiliana e inglese sono partite proprio dagli ospedali? Non accettiamo in maniera bieca e acritica le imposizioni scelte, ci atteniamo alle regole ma vogliamo che queste ci siano spiegate e date in maniera proporzionale. I cittadini – concludono – hanno il dovere di sapere la verità, di leggere i dati in modo chiaro, di aprire gli occhi. Le ragazze e i ragazzi, le bambine e i bambini hanno diritto ad avere assicurato il miglior futuro e questo non sta accadendo. Chiediamo quindi che il Cts locale prenda in considerazione gli studi svolti, sia a livello locale sia a livello nazionale, e che agisca sempre tenendo conto dei rischi e benefici che la chiusura comporta, coinvolgendo anche i referenti del sistema statistico nazionale a livello locale e dell’ ufficio dell’Istat regionale».