di Giuseppe Coco
Agenzia Umbria Ricerche (Aur)
Ci sono dati che, più che raccontare il presente, invitano a guardare avanti. I risultati del censimento permanente della popolazione 2023, resi disponibili in questi giorni, offrono un’occasione per rileggere i cambiamenti che attraversano l’Umbria non solo con gli occhi della statistica, ma con la consapevolezza che il futuro della regione si gioca anche – e forse soprattutto – sulla capacità di comprendere il senso profondo delle sue dinamiche demografiche.
Dalla rarefazione dei piccoli comuni al peso crescente dell’invecchiamento, dalla frammentazione delle famiglie al ruolo stabilizzatore della presenza straniera, ciò che emerge non è semplicemente un declino ma una riconfigurazione della società regionale. L’Umbria non sta solo perdendo popolazione: sta diventando qualcosa di diverso, e il modo in cui saprà governare questa transizione dirà molto della sua tenuta sociale ed economica. Il presente lavoro, articolato in tre sezioni ed una conclusione ragionata, propone una lettura integrata dei dati censuari, con l’intento di contribuire a una comprensione più profonda e consapevole delle trasformazioni in atto, nella convinzione che la conoscenza possa affiancare – con spirito di servizio – chi è chiamato a progettare il futuro delle comunità locali.
Un’Umbria, tante demografie: la geografia delle trasformazioni
Il censimento permanente della popolazione conferma, con la forza dei numeri ufficiali, ciò che l’esperienza quotidiana già ci suggerisce: l’Umbria è alle prese con un declino demografico che non è più episodico ma strutturale. Al 1° gennaio 2025 i residenti sono meno di 852 mila, con una perdita significativa anno su anno. Ma più della cifra assoluta, è la sua articolazione territoriale a illuminare le trasformazioni in atto: il calo non si distribuisce in modo uniforme, ma segue una geografia della differenza. Ci sono aree che reggono, altre che arretrano vistosamente. È in questa mappa asimmetrica, fatta di resistenze e ritiri, che si ridisegna giorno dopo giorno il profilo demografico futuro dell’Umbria.
In questo contesto, a reggere meglio l’urto della contrazione sono soprattutto i centri più grandi. Oltre il 31% degli umbri vive nei due capoluoghi, Perugia e Terni, e un altro 20,5% nei sei comuni tra i 20 e i 50 mila abitanti. Qui si concentrano i volumi maggiori, i servizi e una certa ‘tenuta demografica’: l’età media si mantiene sotto i 48 anni, la presenza straniera è ben oltre l’11% e i tassi di natalità superano la media regionale.
Molto diversa è la condizione dei 63 comuni umbri sotto i 10. mila abitanti. In queste aree, che accolgono quasi un quarto della popolazione regionale, la rarefazione demografica è evidente: l’età media supera i 51 anni, l’indice di vecchiaia va oltre quota 260 e la mortalità raggiunge picchi del 16 per mille. La natalità è sempre più vicina al 5 per mille. Nei comuni sotto i mille abitanti – dodici in tutto – la situazione è ancora più estrema. In queste zone il saldo naturale è cronicamente negativo e quello migratorio interno insufficiente a invertire qualsivoglia tendenza.
Poggiodomo e la soglia della rarefazione
Con 91 residenti, un’età media di 63,9 anni e un indice di vecchiaia pari a 1.150 (11 anziani ogni giovane), Poggiodomo non è semplicemente il comune più anziano dell’Umbria: è un simbolo. Qui, più che altrove, la demografia si fa geografia del limite. È il luogo dove il ricambio tra generazioni si spezza e ciò che resta non è una comunità in equilibrio, ma una soglia appena abitata. In queste condizioni, la permanenza stessa – non la crescita, non il rilancio – diventa la questione fondamentale.
Eppure, a ben vedere, esistono eccezioni. Preci ha registrato un incremento demografico del 2,3% nel 2023, trainato da saldi migratori positivi. A Valtopina la popolazione straniera è aumentata di oltre il 21%, un dato che non muta le dimensioni assolute ma racconta una dinamica ‘viva’. Certo, sono segnali isolati ma suggeriscono che, anche nelle aree più fragili, la traiettoria non è segnata una volta per tutte. Talvolta basta poco – un insediamento familiare, un’opportunità locale – per innescare un contro-movimento.
L’indicatore che forse più di ogni altro traduce le fratture territoriali è l’indice di vecchiaia: da oltre 370 nei microcomuni a poco più di 220 nei centri medi. È su questo gradiente che si giocano il fabbisogno assistenziale, la domanda di welfare, la vitalità stessa delle comunità locali.
Famiglie che cambiano
Nel censimento permanente 2023 emerge un dato strutturale: in Umbria il 37% delle famiglie è composto da una sola persona, circa 142 mila su un totale di quasi 384 mila. Una cifra che racconta molto più di una semplice tendenza: racconta una trasformazione silenziosa: la casa è sempre più un luogo solitario.
Le famiglie unipersonali, un tempo associate soprattutto alla vedovanza anziana, oggi si distribuiscono in modo trasversale: anziani soli ma anche giovani indipendenti, separati, adulti in fase intermedia. Nei comuni più piccoli le famiglie unipersonali arrivano al 41%; nei grandi centri restano sotto il 34%. Una geografia del ‘vivere soli’ che si sovrappone in parte a quella dello spopolamento.
Parallelamente, le famiglie composte da coppie con figli si riducono. Sono meno del 40% delle famiglie umbre. In molti comuni montani, queste non arrivano al 30%. Crescono invece i nuclei monogenitoriali – soprattutto madri sole con tigli – che rappresentano oggi oltre il 9% del totale. Queste forme familiari hanno spesso maggiore vulnerabilità economica e sociale. Una trasformazione profonda riguarda anche la dimensione numerica dei nuclei: le famiglie umbre hanno in media 2,2 componenti. Nei centri urbani il dato scende a 2,1. Nei 3 comuni sopra i 50 mila abitanti, una famiglia su cinque ha un solo componente.
Centenarie umbre
Nel contesto di famiglie sempre più ridotte, con nuclei unipersonali in aumento e una crescente presenza di anziani soli, colpisce un dato: in Umbria, tra i 347 centenari registrati nel 2023, quasi 9 su 10 sono donne. Tra chi supera i 105 anni, il predominio femminile è ancora più netto. Non è una curiosità, è un segnale strutturale. L’invecchiamento ha un volto di genere e incide sulla forma delle famiglie, sulla domanda di cura, sulla tenuta del welfare domestico e territoriale. Chi sono, oggi, le madri anziane che vivono sole? E chi le accompagnerà nei prossimi anni?
Questa transizione della struttura familiare ha implicazioni vaste: sulla domanda di servizi, sulla coesione intergenerazionale, sui consumi, sul welfare. È un mutamento che avviene in silenzio ma che ridisegna il volto sociale della regione, comune dopo comune.
Popolazione straniera e tenuta demografica
Nel bilancio demografico umbro del 2023, il maggior contributo positivo viene dal saldo migratorio con l’estero: +4.274 unità. È questo l’argine che, seppur parziale, frena la perdita complessiva di popolazione. Ma dietro il dato migratorio si cela una realtà più profonda: la popolazione straniera residente in Umbria si è trasformata in un elemento strutturale del sistema demografico regionale.
Al 31 dicembre 2023 gli stranieri residenti sono 88.579, una quota stabile rispetto all’anno precedente, pari al 10,4% della popolazione umbra. Nei comuni sopra i 50 mila abitanti l’incidenza supera il 12%; nei piccoli, spesso, è sotto il 9%. Si tratta di una presenza consolidata che però va osservata con maggiore attenzione: gli stranieri fanno più figli, vivono in famiglie mediamente più numerose, mostrano una maggiore incidenza di nuclei con minori, hanno un’età media più bassa e una piramide demografica più giovane.
Stranieri: un capitale demografico attivo
Con un indice di vecchiaia pari a 60,3 (contro il 266 degli italiani) e un indice di dipendenza strutturale più che dimezzato (30,8 contro 67,0), la componente straniera restituisce l’immagine di una piramide demografica ancora slanciata verso il basso. Questi elementi restituiscono l’immagine di una presenza straniera non solo più giovane e bilanciata, ma anche dotata di un profilo demografico potenzialmente riequilibrante in un contesto segnato dall’invecchiamento.
In molti comuni umbri, soprattutto nei centri medi e nei distretti industriali, l’incidenza degli stranieri supera il 15%. A Bastia Umbra, Marsciano, Umbertide, ad esempio, il loro contributo, è decisivo per il mantenimento dei servizi scolastici e della vita sociale. Nei piccoli comuni, pur essendo numericamente meno presenti, rappresentano spesso una quota rilevante delle nuove nascite.
Nel 2023, il saldo naturale della popolazione straniera è positivo: nascite superiori ai decessi, in netta controtendenza rispetto alla popolazione umbra. Senza questo apporto, il declino demografico regionale sarebbe ancora più profondo e accelerato. La mappa delle cittadinanze ci dice che abbiamo a che fare con una collettività eterogenea, proveniente da 159 Paesi, ma con una netta concentrazione di cittadini rumeni (25,0%), albanesi (11,7%) e marocchini (9,9%).
Naturalmente, la stabilizzazione della componente straniera solleva alcune criticità: dalle condizioni abitative alla vulnerabilità di specifici nuclei familiari, fino alle difficoltà di conciliazione tra tempi di vita e lavoro. Al tempo stesso, tuttavia, è importante non ridurre questa presenza a una dimensione meramente funzionale ai servizi. Si tratta di una componente demograficamente dinamica, che contribuisce in modo significativo all’equilibrio strutturale della popolazione regionale.
Conclusioni: chi siamo destinati a diventare?
Al centro delle trasformazioni demografiche dell’Umbria non ci sono solo numeri, ma nuove fragilità e opportunità. Il calo delle nascite, l’invecchiamento, la frammentazione familiare e il saldo naturale negativo non sono semplici scostamenti statistici, ma segnali di un nuovo ordine demografico, che interroga la capacità di pensare modelli di sviluppo sostenibili nel tempo e nello spazio.
La geografia interna della regione disegna un paesaggio diseguale, dove certe mutazioni non sono solo destino, ma differenza di destino. I piccoli comuni montani, come Poggiodomo, segnano il limite estremo di una rarefazione anagrafica che rischia di tradursi in dissolvenza civile. Al contrario, altre aree – pur fragili – mostrano segni di resilienza che vanno colti, compresi, sostenuti. Governare il fenomeno significa, prima di tutto, distinguere: tra chi arretra e chi resiste, tra chi invecchia senza ritorno e chi conserva un margine di vitalità. La politica demografica, dunque, non può essere neutra né uniforme.
Accanto alle dinamiche di declino emerge una componente che svolge un ruolo stabilizzante: la presenza straniera. Il saldo migratorio con l’estero, costantemente positivo, ha mitigato negli anni l’erosione della popolazione e reso meno squilibrato il rapporto tra età attiva e senile. Riconoscere questo apporto come fattore strutturale è condizione necessaria per politiche inclusive, capaci di guardare al futuro delle comunità locali.
Le evidenze del censimento 2023 indicano che la demografia umbra è entrata in una fase non più di semplice declino, ma di riconfigurazione profonda. Le famiglie si riducono, aumentano i nuclei unipersonali, cambiano le traiettorie della genitorialità. Il saldo naturale, cronicamente negativo, ha toccato livelli difficilmente reversibili nel breve periodo. Tutto ciò richiede un salto di consapevolezza. Non siamo di fronte a una crisi passeggera, ma a una transizione strutturale. La questione demografica deve diventare principio ordinatore. È su questo terreno che si giocheranno le scelte più decisive in materia di welfare, scuola, servizi alla persona, politiche familiari e sviluppo territoriale. In ultima analisi, certi dati ci impongono una domanda essenziale: chi siamo destinati a diventare?