Di Maio e Conte: la ‘scissione paradossica’

L’analisi di Alessandro De Maria in merito ad uno dei passaggi politici più critici degli ultimi mesi. Tutto interno al M5s

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di Alessandro De Maria

Immaginatevi una fabbrica di forme geometriche, operai che lavorano attorno alle macchine ma dalle macchine escono sempre pezzi non proprio idonei. La macchina che deve fare quadrati fa rettangoli, ad alcuni triangoli manca uno spigolo e i cerchi sono sempre ovali e di proporzioni diverse. I prodotti della fabbrica non si vendono e si è vicini al fallimento così, ad un certo punto, il capoturno chiama tutti gli operai e dice: «Sentite, credo sia meglio chiamare qualcuno che sa come funzionano le macchine».

Questa è l’immagine che mi è sempre venuta in mente quando qualcuno invoca il governo ‘tecnico’. Prima per il governo Monti, quando Berlusconi dovette dimettersi, poi per il governo Draghi quando Conte fu fatto fuori da Mattarella (se il capo dello Stato avesse rimandato la cosa alla Camera, i dissidenti renziani avrebbero cambiato sesso pur di non andare alle urne. La fiducia ci sarebbe stata ma, come dicono alla fine di ‘Conan il barbaro’, questa è un’altra storia). E davanti a certe cose uno si chiede: ma quelli che ci stavano prima dei ‘tecnici’, che ci stavano a fare?

Questo è uno dei problemi più grandi del nostro Paese: per essere eletto, spesso non servono particolari capacità se non quella di raccogliere il consenso. In pratica, in molti casi non serve che tu sappia fare qualcosa, serve solo che tu faccia credere agli altri che tu possa farla. Un po’ come Rihanna nel film ‘Ocean’s 9’, che finge di fare l’hacker quando non sa nemmeno come si accende un computer. Politici-attori che, grazie a fantastici effetti speciali fatti di tabelle e grafici, ci vendono falsi futuri. Non è nemmeno totalmente colpa loro, devo dire, dal momento che non si può comprare ciò che non è in vendita.

Anche il Movimento 5 Stelle che doveva essere riformatore, ha ceduto il passo a tale ovvietà con il suo ‘uno vale uno’. Se io mi devo operare, non vado dal primo che capita ma cerco un chirurgo. Il mondo è organizzato intorno a gerarchie di competenza e tanto più queste funzionano, tanto migliori sono i risultati. Credo anche che l’adesione di Grillo al governo Draghi sia stata guidata da questo principio: Conte stava diventando troppo ‘insostituibile’. Risultato: dopo un anno e mezzo stanno alla frutta e si sono giocati tutto il prestigio ottenuto grazie alle mete raggiunte, soprattutto grazie al Recovery Fund che è stato raggiunto proprio grazie a Conte quando nessuno ci credeva.

Adesso il Neo Movimento 5 Stelle richiama finalmente alla competenza. «La regola ‘uno vale uno’ è fondamentale, ma quando si tratta di designare i rappresentanti del popolo o assumere funzioni istituzionali e di responsabilità, occorrono persone con specifiche competenze e capacità». Non penso ci volesse tanto a capirlo. Purtroppo però c’è anche qualcun altro che che usa la stessa tattica: Di Maio. Improvvisamente, dopo aver dribblato il limite dei due mandati (perché, diciamolo, dopo essere stato nei palazzi del potere pare brutto tornare a fare l’operaio nell’azienda di famiglia), rieccolo là che dice ‘uno vale uno ma uno non vale l’altro’ e richiama anche lui alla competenza.

Il problema è che lui quale competenza avrebbe? Se eliminiamo l’esperienza sul campo (oggi non ti prendono neppure a fare il cameriere se non hai un attestato, puoi anche aver lavorato per Cracco), che rimane? Non è laureato, chiama il presidente cinese ‘Ping’, non è poliglotta… una scissione drammaturgica, da una parte Conte dall’altra Di Maio. Chi scegliere? Da una parte chi ha ottenuto il Recovery Fund e dall’altra chi non ha neppure una laurea. Sono proprio indeciso: da una parte chi chiama alla competenza perché è necessaria e ha già dimostrato la sua competenza, dall’altra uno che usa la competenza perché al di fuori del palazzo non è nessuno e che la sua, di competenza, la usa principalmente negli accordi di palazzo. Che dilemma!

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