di Marco Torricelli
«Se vuoi essere quello che si mette a disposizione per costruire un progetto, sia esso di città, di regione o del Paese, non puoi pensare di essere autosufficiente e non puoi che accogliere chi è disposto a darti il suo contributo». Giacomo Leonelli, segretario regionale del Partito Democratico, parla con umbriaOn e dalle sue parole emerge con chiarezza quella che può essere definita la ‘strategia’ della generazione che si propone come nuova classe dirigente.
Volendo semplificare, e forse banalizzare, si potrebbe parlare di ‘offensiva generazionale’ all’interno del Partito Democratico, con voi ‘giovani’ all’offensiva contro i ‘vecchi’. Ma forse il tema è più ampio «Innanzitutto vorrei chiarire che per me l’età anagrafica non corrisponde all’età ‘politica’: come dico sempre è più giovane e fresco un 70enne che si iscrive al PD oggi che il sottoscritto, che di anni ne ha circa la metà, ma è già da un po’ che naviga in queste acque. Per il resto il tema a parer mio non è tanto giovani contro vecchi: ma piuttosto è che è ora che i giovani diventino grandi; abbiamo moltissimi giovani segretari locali e amministratori locali bravi e stimati in umbria, che in questi anni il PD è riuscito a promuovere. Ora spetta a loro fare uno scatto in avanti per tentare di costruire la classe dirigente dei prossimi 10 anni. Ma per farlo è fondamentale che da un lato non abbiano paura di metterci la faccia, dall’altro abbiano la forza di abbandonare i porti sicuri delle rendite di posizione costruite all’ombra delle correnti interne».
Una tua precedente uscita pubblica, nella quale parlasti di ‘padrini’, provocò qualche polemica. Useresti ancora quel termine? «Premesso che non l’ho usato io, ma il giornalista nel titolo, mi dispiace che qualcuno possa aver preso quel titolo come un attacco personale. Anche perché leggendo l’articolo si capiva bene che se c’era una critica i destinatari non erano tanto le figure più eminenti del PD dell’Umbria, quanto quei giovani che per l’appunto erano e sono troppo preoccupati di costruirsi carriere all’ombra di correnti già strutturate, piuttosto che di mettere in campo uno sforzo di autonomia fondamentale per affermarsi come classe dirigente regionale».
Come credi possa essere coniugato questo ‘pensiero giovane’ dentro il PD con la situazione politica, ma anche economica, della regione? «Io più volte ho detto che se c’è un errore che può commettere una classe dirigente è quello di guardare l’oggi con occhiali vecchi e non adeguati. Mi spiego meglio: molti indicatori ci dicono che l’umbria oggi è alla fine di un ciclo economico e all’alba di un altro: la crisi 2008-2014 ha ferito secondo l’Istat la nostra regione come nessun’altra. Al tempo stesso abbiamo dati 2015 molto incoraggianti, come l’export (quasi il doppio della media nazionale) o l’incremento dei contratti a tempo indeterminato (seconda regione italiana). In altre parole siamo a mio giudizio all’alba di un nuovo modello di sviluppo, che dovrà vedere gioco forza l’impegno prioritario di una nuova generazione della politica regionale ma anche della classe dirigente più estesa, a cominciare dalle categorie economiche».
Tu, ma anche Anna Ascani e, a Terni, Stefano Bucari avete posto con chiarezza, mi pare, il tema del superamento degli schieramenti interni e dell’apertura del partito verso l’esterno, compresa la così detta ‘società civile’. Non c’è il rischio di allargare un po’ troppo il campo? «Affatto! Oggi il PD è vincente non solo se si contrappone a qualcun altro, come per esempio abbiamo fatto per anni rispetto alla destra e a Berlusconi: bastava un po’ di richiamo identitario e molte elezioni locali con lo spettro di quel centrodestra le mettevamo in cassaforte. Oggi serve chiedere consenso “per” qualcosa, non “contro qualcuno. E se vuoi essere quello che si mette a disposizione per costruire un progetto, sia esso di città, di regione o del paese, non puoi pensare di essere autosufficiente e non puoi che accogliere chi è disposto a darti il suo contributo».
Tra il Partito Democratico e le istituzioni umbre – dalla Regione ai Comuni che amministra – c’è ancora quella comunicazione leale che dovrebbe essere alla base di una programmazione in grado di garantire buon governo alla collettività? «Sicuramente va rafforzata e non poco. Oggi non è come prima, quando le risorse c’erano per tutti e le scelte strategiche potevano rinviarsi a domani: oggi dobbiamo tutti ragionare più da umbri e meno da cittadini del proprio campanile, per costruire su tutte le questioni fondamentali (dalla sanità ai rifiuti, passando per trasporti e infrastrutture) scelte condivise e che tengano insieme costi ed efficienza; e, chiaramente, se la logica del campanile prevale su quella regionale il rischio è che aumentino contraddizioni anche tra noi».