La lite con il collega di lavoro, che lo aveva denunciato per minacce, percosse e ingiurie, gli era costata cara. A lui, vigilante ternano di lungo corso e senza problemi alle spalle, la prefettura gli aveva revocato tutto: il decreto di nomina a guardia giurata e il porto d’armi. In pratica, non poteva più lavorare.
Sospensiva Dopo il ricorso d’urgenza, il Tar dell’Umbria aveva sospeso il provvedimento emesso dall’Ufficio del governo. Nei giorni scorsi la prima sezione del tribunale amministrativo regionale si è espressa anche nel merito ed ha completamente ‘riabilitato’ l’uomo, accogliendo il ricorso presentato dal suo legale, l’avvocato Massimo Proietti, annullando di fatto le misure applicate.
La ‘lite’ La vicenda penale scaturita dalla lite fra i due vigilantes non si è ancora chiusa: la denuncia presentata nel settembre del 2013 del collega è ancora all’attenzione degli inquirenti, anche se il denunciato, nell’aprile dello scorso anno, ha sporto una contro querela per calunnia.
Riabilitato A prescindere da questi aspetti, il Tar gli ha comunque restituito in via stabile e definitiva la possibilità di lavorare. Nelle motivazioni, i giudici spiegano come il provvedimento prefettizio sia stato «emanato solo sulla base della denuncia presentata dal collega e, nel caso di specie, risulta del tutto isolata ovvero non assistita da elementi ulteriori, mentre il ricorrente ha presentato a sua volta denunzia per calunnia contro il proprio querelante».
Orientamento Un peso sulla decisione lo ha avuto anche lo status della guardia giurata denunciata: incensurata e senza provvedimenti disciplinari alle spalle. Così, anziché considerare la sola notizia di reato come motivo sufficiente per revocare il porto d’armi, il Tar dell’Umbria è andato più a fondo, dando seguito al principio secondo cui una denuncia penale non sempre incide in maniera automatica sulla valutazione di pericolosità sociale del soggetto che la riceve.