di Valerio Zafferani *
Possiamo considerare esaurita con i primi cinque articoli pubblicati la presentazione dei concetti di sostenibilità strategica o, se si preferisce, di sviluppo sostenibile. A questo punto, sorge spontanea una domanda: come si fa a mettere in atto quanto descritto? Parte da qui il vero e proprio processo di sostenibilità che ha come obiettivo quello di sviluppare l’azienda e il suo business, sia in logica di profitto che di esaltazione di quegli aspetti sociali ed ambientali che coinvolgono sempre di più gli stakeholder e tramite i quali raccordiamo l’obiettivo di mitigazione dei rischi che possono minare tanto la reputazione quanto il funzionamento dell’azienda.
Come specificato, e ci tengo a ripeterlo e sottolinearlo, il processo di sostenibilità strategica ha come punto fermo il profitto. Se il profitto venisse meno, infatti, perderebbero di senso il motore di sviluppo e la ragion d’essere stessa dell’impresa, che è bene ricordarlo vede connessa alla sua esistenza il rischio. Non parliamo quindi di una onlus o di un’attività del terzo settore ma di un’azienda che, pur facendo quadrare il bilancio soddisfacendo i propri shareholders, comprende che ha un senso essere protagonisti attivi di un cambiamento. Un cambiamento che, filosoficamente e praticamente, mette al centro la persona e l’ecosistema che la circonda contribuendo ad un sano sviluppo della società. Non più un’azienda che fa profitto e che destina al sociale parte dei suoi guadagni, magari con uno stile filantropico, ma un’azienda che grazie al coinvolgimento attivo delle comunità, dei territori e dell’ambiente adegua il suo modello di business e mira ad aumentare i profitti.
Certamente si parla di investimenti. Il processo di sostenibilità strategica non è un banchetto di nozze dove volendo ci si può abbuffare gratis ma necessita comunque di spesa di investimento, e quindi non di mero costo, verso obiettivi sostenibili nel tempo. Ma il tema degli investimenti non deve spaventare. Infatti i budget possono essere pensati ‘tailor made’ per ogni tipo di attività, sia essa micro, piccola, media o grande. Tenendo altresì conto che le risorse di cui parliamo non sono solo economiche ma anche di capitale umano e tempo. L’assessment, o valutazione, è quel primo passo per inquadrare lo stato aziendale. È necessario però chiarire quali sono i principi cardine che devono sostenere la valutazione d’inizio processo affinché tutte le parti in gioco possono allinearsi ed essere focalizzate sugli obiettivi che si intendono raggiungere.
Tali principi essenzialmente sono tre: l’accountability, la materialità e il coinvolgimento degli stakeholder. Spesso i termini utilizzati sono in lingua inglese, vista la nomenclatura europea sull’argomento, e a volte non traducibili letteralmente, quindi andiamo a spiegarli chiarificando i concetti.
L’accountability è probabilmente il più ‘alto’ tra i principi perché sta a significare che i proprietari d’azienda, coadiuvati dal management, devono avere l’attitudine e la capacità di saper rendere conto agli stakeholder quanto l’azienda mette in atto. È quindi una scelta di fedeltà ad una linea, senza deroghe ai valori comportamentali, e che coinvolge gli aspetti etici e culturali d’impresa fino ad un processo di tracciabilità e rendicontazione con fine di pubblicità, non ovviamente in senso commerciale, di ciò che l’impresa fa e di come si posiziona nel panorama competitivo. Un processo di sostenibilità senza accountability non potrebbe esistere andando invece a sostanziare una forma di greenwashing.
Il secondo principio guida è la materialità. Anche qui il termine deriva dall’inglese e possiamo spiegarlo così: la materialità riguarda tutto ciò che l’azienda può mettere in campo, ideare, progettare e rendere tangibile affinché sia pertinente al pensiero strategico della proprietà aziendale e sia contemporaneamente significativo per i propri stakeholder, ossia apporti valore ad essi. Questo principio trova poi concretezza in quella matrice di materialità, che passeremo in esame nei futuri articoli, e che rappresenta il cuore pulsante del processo di sostenibilità strategica. Un pò come in quella famosa pubblicità: ‘No matrice? No sostenibilità’.
Il terzo elemento, collegato alla matrice, è il coinvolgimento degli stakeholder nel processo. Senza la collaborazione dei vari attori che, in modo più o meno netto, sono collegati al business aziendale il processo non avrebbe alcun senso pratico e rappresenterebbe unicamente un percorso autoprodotto senza alcun legame con l’ecosistema. Questa parte, più strettamente operativa e che può produrre notevoli risultati per l’azienda, necessita di una governance con una visione innovativa ed olistica del business che sia in grado di cogliere l’opportunità che genera l’interdipendenza tra l’organizzazione, gli stakeholder e l’ecosistema sociale ed ambientale. A cui poi susseguentemente va collegata la fondamentale opera di comunicazione, prima interna e poi esterna, dell’attività stessa. Nel prossimo articolo passeremo in rassegna i passaggi focali dell’assessment, iniziando di fatto il processo di sostenibilità strategica.
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* Consulente e formatore per la sostenibilità strategica, con esperienza nel settore del marketing e della comunicazione. Dopo aver operato come imprenditore nel settore dei prodotti naturali per 15 anni, ha canalizzato la sua attenzione per la sostenibilità focalizzandosi sulle politiche ESG. Nel 2021 ha debuttato come autore con il suo primo libro, ‘Quanto Basta’ (Intermedia Edizioni), che esplora la relazione con la clientela. Attualmente sta lavorando al suo secondo libro. Ha conseguito la laurea in scienze dell’amministrazione presso l’università di Siena e ha arricchito la sua formazione con tre master presso la 24 Ore Business School: gestione e strategia d’impresa, marketing e comunicazione, HR e sostenibilità. È anche l’anchorman del programma YouTube ‘Un’ora con…’, dove conduce interviste con professionisti ed imprenditori per promuovere la cultura aziendale e sociale.