La mafia in Umbria, processo Quarto passo

Perugia, il pm Antonella Duchini: «Non c’è una criminalità organizzata locale e spesso non vengono colti i segnali di infiltrazioni»

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di Umberto Maiorca

Progressiva ‘mafizzazione’ del territorio attraverso l’opera di una «vera holding del crimine che, in maniera organizzata e continuativa, valendosi delle condizioni di intimidazione, assoggettamento ed omertà tipiche delle associazioni criminali di tipo mafioso, è risultata radicata nel territorio del capoluogo inquinando il tessuto sociale ed economico della città». L’indagine condotta dai Ros di Perugia e denominata ‘Quarto passo’ è giunta ad un primo punto fermo, quello dell’udienza preliminare, che ha portato al rinvio a giudizio di 57 persone.

Gli incontri Secondo gli investigatori i sodali del gruppo criminale, originari di Cirò, si erano insediati da tempo in Umbria e avrebbero gestito locali pubblici e una serie di capannoni industriali: nei primi si sarebbero svolte le riunioni organizzative, nei secondi nascosta la merce rubata. I carabinieri del Ros avrebbero appurato che il gruppo tendeva a mantenere «un basso profilo criminale – si legge nell’ordinanza di arresto – al fine di non attirare sull’organizzazione l’attenzione delle forze dell’ordine in un territorio, quale quello umbro, a torto ancora ritenuto da taluni isola felice ed invece in via di progressiva ‘mafizzazione’». Nei locali si sarebbe svolti gli incontri «con i vertici della cosca, l’organizzazione e la gestione dei delitti contro il patrimonio, gli appuntamenti con gruppi di altra etnia, lo spaccio di stupefacente e la programmazione delle estorsioni» prosegue l’ordinanza.

I capannoni sarebbero stati usati come depositi «della merce riveniente dai delitti di truffa aggravata (materiale edile) e di furto aggravato (mezzi d’opera cantieristici)». Gli appartamenti sarebbero stati il luogo deputato alla «detenzione e cessione a terzi di cocaina e per lo sfruttamento della prostituzione, nonché quale luogo di incontro con gli altri sodali, anche per l’organizzazione delle strategie criminali». Altro reato contestato era quello truffa aggravata e di emissione di false fatture attraverso diverse ditte, in genere le stesse a cui facevano riferimento i capannoni utilizzati «per nascondere la merce riveniente dai delitti di truffa. Secondo il gip Alberto Avenoso il gruppo avrebbe posto in essere un disegno criminoso per estorcere denaro, da immettere nel mercato dell’usura a tassi esorbitanti (dal 10% al 20% mensile), e che si giovava «della copertura garantita dalle imprese sottoposte a estorsione per acquisire appalti e/o sub appalti nel settore edile e del fotovoltaico».

I capi d’imputazione Sono 63 i capi di imputazione che vengono contestati ai 59 indagati: usura, estorsione, truffa, furto aggravato, danneggiamento mediante incendio, traffico di sostanze stupefacenti, ricettazione e minacce. Un sistema che «rappresenta l’origine dell’intera catena criminale: da un lato rappresenta infatti un sicuro strumento economico per mantenere l’organizzazione e per acquisire capitali da reinvestire in altre attività criminali o nell’economia legale; dall’altro il modo più efficace per esercitare il controllo sul territorio e sulle vittime, piegate dalle minacce e dalle intimidazioni ai voleri dell’organizzazione e a volte indotte al compimento di comportamenti illeciti».

Intimidazione e minacce Numerose le richieste di protezione del clan compiute «attraverso forme di intimidazione e minacce nonché mediante incendio di attività produttive, abitazioni private ed autovetture, sia dalle espresse ammissioni di appartenenza ad una consorteria mafiosa effettuate da alcuni dei sodali alle persone offese (o a terzi), proprio al fine di assoggettarle e renderle omertose, sia infine dagli stabili contatti con la cosca di riferimento calabrese, accertati mediante i plurimi (e costanti nel tempo) incontri con personaggi di assoluto spessore della ‘ndrangheta cirotana».

I sequestri Nel corso dell’operazione ‘Quarto passo’ sono stati sequestrate 39 imprese, 106 immobili, 129 autoveicoli, 28 contratti assicurativi e 300 rapporti bancari e di credito per un valore di oltre 30 milioni di euro. «Non c’è una criminalità organizzata locale» aveva evidenziato il pm Antonella Duchini rivolgendo poi «un appello a cittadinanza e istituzioni a fare comunque massima attenzione. Questo è un territorio – ha aggiunto – considerato ancora un’isola felice e, quindi, spesso non vengono colti i segnali di infiltrazioni della criminalità organizzata».

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