Nestlé – Perugina: «Sciopero generale»

Il 27 luglio ci saranno 200 lavoratori di Perugia al Mise per protestare contro il piano Nestlé e per chiedere al governo di non lasciare soli i lavoratori della fabbrica di Perugia

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di P.C.

Il 27 luglio ci saranno 200 lavoratori Perugina al Ministero dello Sviluppo Economico per protestare contro il piano Nestlé e per chiedere al governo di non lasciare soli i lavoratori della fabbrica di Perugia. Sarà uno sciopero generale che coinvolgerà tutti gli addetti. Un mobilitazione analoga è prevista a San Sisto, davanti alla fabbrica dove nascono i Baci, che doveva diventare il polo italiano del cioccolato e ora invece rischia un grave ridimensionamento.

I SINDACATI: «ESUBERI AVRANNO GRAVE IMPATTO SOCIALE» – IL VIDEO

«Con Perugia non si scherza» A dirlo sono i rappresentanti sindacali di Perugina, che lunedì mattina hanno spiegato le ragioni dello sciopero e delle manifestazioni, «e invece abbiamo la sensazione – denunciano – che Nestlé con noi stia scherzando un po’ troppo. Quello che vogliamo lanciare oggi è un appello a tutta la città e a tutto il territorio: la vertenza Perugina non riguarda solo i lavoratori, ma la nostra comunità nella sua interezza. Abbiamo bisogno che la cittadinanza, le forze politiche, le istituzioni facciano muro contro il tentativo di Nestlé di cambiare le carte in tavola e assestare un colpo durissimo alla fabbrica simbolo di Perugia e del cioccolato in Italia. Ringraziamo Regione e Comune per la vicinanza ma ora ci aspettiamo dal Governo nazionale delle risposte concrete. Chiediamo che Nestlé venga obbligata a rispettare quegli accordi (che non prevedevano esuberi alla fine degli ammortizzatori sociali) e, in generale, che non ci lascino soli». I rappresentanti dei lavoratori rivelano che hanno incontrato anche il Cardinale Bassetti, che ha espresso la sua vicinanza. «Abbiamo bisogno che la vertenza Perugina assuma il suo carattere naturale – hanno spiegato Michele Greco (Flai Cgil), Dario Bruschi (Fai Cisl) e Daniele Marcaccioli (Uila Uil) insieme ai rappresentanti della Rsu, Luca Turcheria e Fabiano Rosini – che è quello di vertenza di carattere nazionale, finalizzata a chiarire le intenzioni di Nestlé verso il nostro paese».

Gli esuberi «Quando abbiamo firmato quel piano – raccontano – c’era dietro una filosofia che prevedeva il rilancio della Perugina come la capitale del cioccolato italiano. Era previsto un importante investimento anche su ricerca e innovazione nel settore. Per anni la Nestlé ha tentato di mettere da parte il marchio Perugina e imporre il marchio Nestlé anche su prodotti, come i Baci, che erano invece fortemente caratterizzati dall’abbinamento con la città di Perugia. Invece con quell’accordo siamo riusciti a imporre l’idea che il marchio dovesse essere lo stesso a livello internazionale. Ma è mancata però, da parte dell’azienda, la narrazione del ‘made in Italy’, c’è un raffreddamento di Nestlé in questo settore. Abbiamo sempre intravisto una attesa, da parte della multinazionale, che ci sembrava pericolosa. Poi, a maggio, sono venuti fuori questi esuberi».

Il piano Nestlé Il problema non sarebbe (solo) economico. Dietro c’è la volontà della multinazionale di razionalizzare i costi, a prescindere dalla bontà del piano industriale, che comunque – assicurano i sindacati – sta andando bene. Si registra un aumento dell’export. E, in ogni caso, per verificarne la definitiva riuscita, bisognerebbe aspettare il suo completamento. Almeno un triennio. Per questo motivo la ‘fuga in avanti’ della proprietà ha lasciato sbigottiti lavoratori e sindacati, prendendo in contropiede anche le istituzioni locali. Dietro tutto questo ci sono dinamiche di livello mondiale: si parla dell’ipotesi di vendita dell’intero settore confectionery di Nestlé. Per questo il management europeo e – a cascata – quello italiano hanno cambiato la propria posizione su Perugia.

Accordo disatteso A prescindere da tutto, però, c’è un accordo firmato. E Nestlé non ha rispettato i patti. «I 180 ‘esuberi’ temporali dovevano rientrare al termine della cassa integrazione. Questo prevedeva l’accordo. La condizione era di imporre il ‘Bacio’ nel mondo, producendolo nel periodo di bassa richiesta in Italia, annullando così l’avvallamento della curva di domanda (la cosiddetta ‘controstagionalità’), tenendo così costante la produzione lungo tutto l’anno di lavoro ed evitando il costante ricorso agli stagionali». Un piano da 60 milioni di euro.

Da capitale a periferia Obiettivo di Nestlé è invece diametralmente opposto. Abbattere i costi, soprattutto quelli del personale qualificato (e a Perugia, vista la tradizione in tal senso, c’è n’è tanto), ancor prima di verificare la bontà dell’export dei Baci. Nel caso dovesse essercene bisogno, poi, si farebbe ricorso agli stagionali, che costano meno perché meno qualificati. Risultato? Lavoro sempre più precario e perdita di know-how per il polo di San Sisto, che – ben lungi da diventare una ‘capitale’ – si trasformerebbe sempre più in una periferia dell’impero Nestlé. Contro questo riassetto geografico si mobilitano i lavoratori Perugina. Già precettati quattro bus per Roma. Gli altri lavoratori terranno un presidio a San Sisto.

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