«La mia odissea per sapere se mio figlio era positivo al Covid»

Perugia – Dopo giorni di attesa e rabbia, la donna si è sfogata su Facebook sulle modalità di gestione degli aspetti sanitari: «Avevo in casa altri bimbi e persone a rischio, dovevo saperlo prima»

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Fa discutere il post di una madre di Perugia -la signora Silvia M. –  che ha raccontato su Facebook l’odissea sua e di suo figlio, con sintomi da Covid. Il tampone è risultato poi negativo ma quello che è accaduto – nella versione della donna – è motivo di riflessione sulla gestione territoriale di situazioni del genere.

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Il racconto

«Figlio con la febbre e soggetti a rischio in casa»

«Inizio dell’odissea – scrive la donna – il giorno 22 settembre ore 15.45. Mio figlio con febbre a 38.5, chiamo la pediatra che mi dice di attendere 24 ore. Mercoledì 23 settembre ore 16 richiamo la pediatra perché la febbre è ancora alta. La dottoressa mi riferisce che non ho l’obbligo di far fare il tampone al figlio, ma visto che io sono immunodepressa, ho il suocero con l’ossigeno e una madre allettata, decido di richiedere il tampone. Parte la segnalazione e aspettiamo».

«Aveva perso il senso del gusto»

«Intanto la febbre resta sui 39 e il bambino perde il senso del gusto. Giovedì tutto tace. Venerdì vengo contattata dal Centro salute che mi dà appuntamento lunedì mattina per il tampone. Imploro l’operatrice di non farmi aspettare tutto questo tempo e lei mi risponde che il sabato è dedicato alle urgenze e quindi nessuno potrà venire a fare il tampone. Chiedo mestamente se questa non fosse un’urgenza, evidentemente no. Richiamo la pediatra, la quale mi spedisce al drive-in di piazzale Europa per fare il tampone».

Tampone pit-stop: «Rispedita a casa»

«Carico mio figlio in auto e andiamo su. Dieci auto in fila che scorrono velocemente. Arriva il nostro turno e mi chiedono cosa sto facendo lì: ‘una passeggiata’ avrei voluto dire. Poi spiego la situazione e appena dico che il figlio ha la febbre mi iniziano a urlare contro come se fossi una delinquente e mi hanno intimato di andare via immediatamente. Chiedo per curiosità cosa stessero facendo lì, ma niente, dovevo andarmene sennò mi avrebbero denunciata. Torniamo a casa e richiamo la pediatra. Uno per dirle per quale motivo mi ha mandato a fare questa figura di m., secondo perché volevo mi venisse a visitare il bambino. Risposta: non possiamo venire a casa a fare visite. Quindi? Che devo fare? Se non fosse Covid ma magari polmonite lo lascio abbandonato a se stesso? Che faccio, dò l’antibiotico in via precauzionale? No meglio di no».

Finalmente il tampone

«Ore 17: mi richiamano dal Centro salute. Mi danno appuntamento per il tampone lunedì ore 8.30 in piazzale Europa. C’è un lungo silenzio da parte mia e poi l’apoteosi. Ribadisco che il bambino ha 38 di febbre (e l’operatrice allibita risponde: ‘Ah, ha la febbre?’ Sono tre giorni che glielo dico) e che se non mi mandano qualcuno il giorno seguente avrei chiamato i carabinieri. Un minuto di attesa e appuntamento fissato per il giorno dopo. Sabato ore 11.54 arrivano a casa a fare il tampone. Durata dell’intervento 30 secondi. La sera avrei potuto scaricare la risposta. Per fortuna tampone negativo».

Riflessioni di una mamma

«In conclusione: se ti serve il tampone, devi minacciare gli operatori. Tu però puoi andare a lavorare, lasciando tuo figlio minore a casa con febbre alta. Se hai altri figli puoi tranquillamente mandarli a scuola, poi però se il tampone fosse stato positivo avremmo fatto chiudere due scuole. Tuo figlio ha febbre alta? Lascialo morire solo nel letto perché nessun pediatra ti viene a casa a visitarlo. Facciamo ‘turista fai da te’ sperando in una botta di ‘fortuna’ sulla terapia scelta. Ma di cosa vogliamo parlare? Siamo solo alla fine di settembre e questi non sanno gestire un cavolo di niente. Vi auguro solo una cosa: che nessuno dei vostri figli prenda mai un’influenza. È davvero il più grande augurio che possa farvi. In bocca al lupo ad ognuno di voi».

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