Un ristretto di nazionalità tunisina di 32 anni, definitivo fine pena gennaio 2020, per violazione della legge sugli stupefacenti, monitorato per terrorismo islamico, in regime di semilibertà presso l’attività commerciale della moglie, al momento del rientro nel penitenziario perugino, ha fatto perdere le sue tracce. Scattate le ricerche, tuttora vane.
«Deriva istituzionale» A dare la notizia è I’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), per voce del segretario generale Leo Beneduci. «Non si può assistere inermi dinanzi al fenomeno delle carceri ‘colabrodo’ in cui l’unica occasione certa è quella di darsi alla fuga. Siamo alla deriva istituzionale e questo è inaccettabile, per rispetto delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria, degli operatori penitenziari e di coloro che credono nella dignità dell’esecuzione penale che non può avere questi esiti beffardi». Per Beneduci, «oltre alle interrogazioni il Parlamento dovrebbe istituire una Commissione d’inchiesta sull’inefficienza sugli sprechi e sui rischi per la società civile rappresentati dalle attuali carceri italiane. L’attuale maggioranza di Governo si dovrebbe preoccupare degli appartenenti alla polizia penitenziaria e non solo dei detenuti. Il ministro Bonafede batta un tocco rispetto alle problematiche che ormai quotidianamente vengono denunciate – conclude Beneduci».
Il Sappe «Tecnicamente si tratta di evasione e questo non può che avere per lui gravi ripercussioni se non si costituisce al più presto», spiega Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). Bonino giudica la condotta del detenuto «un evento irresponsabile e gravissimo, per il quale sono già in corso le operazioni di polizia dei nostri agenti della penitenziaria finalizzare a catturare l’evaso. Ma certo va fatta chiarezza sulla vicenda in sé, sulla mancata espulsione dell’Italia e sul fatto che un detenuto monitorato per radicalismo islamico fruisca di benefici penitenziari che gli consentono di uscire dal carcere». Donato Capece, segretario generale del Sappe, sottolinea che «servirebbe un potenziamento dell’impiego di personale di polizia penitenziaria nell’ambito dell’area penale esterna. A nostro avviso è fondamentale potenziare i presidi di polizia sul territorio, potenziamento assolutamente indispensabile per farsi carico dei controlli sull’esecuzione delle misure alternative alla detenzione, delle ammissioni al lavoro all’esterno, degli arresti domiciliari, dei permessi premio, sui trasporti dei detenuti e sul loro piantonamento in ospedale. E per farlo, servono nuove assunzioni nel corpo di polizia penitenziaria, La sicurezza dei cittadini non può essere oggetto di tagli e non può essere messa in condizione di difficoltà».