Polo chimico, almeno conserviamo i ricordi

Sono i ternani i primi che dovrebbero attivarsi almeno a difesa di quella memoria

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di Walter Patalocco

Che cosa sarà rimasto all’interno di quello che fu il centro ricerche Montecatini di Terni? Carte, archivi, strumenti… Non si sa. Certo è rimasto il ricordo di ciò che fu, ossia una struttura di ricerca di alto livello e il segno di un diverso approccio, rispetto a quel che succede oggi, con la grande questione dell’innovazione tecnologica, scientifica, sociale.

Quello fu il centro che legò il suo nome a Giulio Natta e alla scoperta che al suo gruppo di studiosi fruttò il premio Nobel: il polipropilene. Una ‘cosa’ che cambiò il mondo. Era la nascita della plastica, in stretta sostanza. Ma non solo al polipropilene è legata la memoria: perché finché c’è stato, quel centro ricerche, ha partecipato a un’attività che ha prodotto centinaia di brevetti esportati in tutto il mondo.

Non era una struttura da poco se si considera che lì dentro operavano quattrocento (400) ricercatori. La ricerca impegnava ben oltre il dieci per cento dei dipendenti del polo chimico ternano, che nel periodo di massima occupazione furono più di tremila. Un alto numero di occupati proprio grazie ai prodotti innovativi.

Si sa poi quale fine è stata fatta fare alla chimica italiana squassata da operazione politico-finanziarie che l’hanno portata alla decadenza. Non poteva certo sfuggire al destino dell’intero settore il polo chimico ternano, spezzettato e indebolito. Adesso quel centro ricerche, che è stato per anni fucina d’innovazione e ricchezza, lo butteranno giù. Con le ruspe. La Basell, ultima proprietaria, sostiene che la struttura è fatiscente e costa più tenerla in piedi che raderla al suolo. D’altra parte la Lyondell-Basell, che come noto è una multinazionale, non annovera più Terni tra le sue sedi di produzione. Il proprio centro ricerche, intitolato a Giulio Natta, ce l’ha, ma a Ferrara.

E a Terni si percorre un’altra tappa simbolica di come sia tutto cambiato, in peggio, in tre o quattro decenni. Le fabbriche ci sono ancora, seppure con tutti gli interrogativi del caso, ma diventano ogni giorno di più semplici opifici: i cervelli, la ricerca, l’innovazione, l’iniziativa non abitano più qui.  

Via il centro ricerche, via la stazione interna al polo chimico, terminale di una diramazione che allaccia lo stabilimento alla ferrovia Roma – Ancona: una ricchezza per uno stabilimento, ma anch’essa sembra non sia più ‘conveniente’. Senza un briciolo di rispetto, almeno, per la memoria industriale, un patrimonio morale ma anche economico, che può svegliare orgoglio e tradizione e spronare a ritrovare grinta e coraggio.

Sono i ternani i primi che dovrebbero attivarsi almeno a difesa di quella memoria. Nel caso del centro ricerche della Polymer, a chi chiede che si blocchino le ruspe si risponde che ormai lì ci sono stanze vuote e muri ‘sgarupati’:  e bisogna fare a fidarsi, perché a Terni, scomparso Gino Papuli, non c’è nemmeno un pezzo di carta che contenga un ‘elenco della serva’ con i beni di archeologia industriale esistenti e degni di attenzione. Ma che ti aspetti in una città in cui il solo apparire di un po’ di ruggine fa sbrilluccicare gli occhi di un ruspista?

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