Sanità: «Cura Lega? Privatizzazioni»

Per Sergio Cardinali «i cittadini umbri vogliono efficienza a misura dei loro bisogni. Passare da pubblico a privato sarebbe peggiore del male»

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Sergio Cardinali

di Sergio Cardinali
Segreteria nazionale Filctem Cgil

La candidata del centro destra Donatella Tesei, lo sostiene in maniera molto chiara ‘in Umbria il privato nella sanità ha una percentuale, troppo bassa’, almeno guardando la Lombardia, che ha quella più alta. Ma da dove nasce questa volontà, soprattutto leghista di spingere verso quote importanti di sanità privata? Se proviamo a seguire il parallelo proposto dalla Tesei ci accorgiamo che in Lombardia, dove la Lega ha governato negli ultimi anni, la sanità è diventata un grande affare soprattutto per i legisti, vedi i casi di Formigoni, Maroni, e i tanti soggetti meno noti implicati nelle tante indagini che ha coinvolto il partito padano durante questi ultimi anni. Ma ora il cosiddetto modello lombardo, secondo la Tesei, anzi secondo Salvini deve essere esportato in tutte le regioni in cui si andrà al voto nei prossimi mesi. Perché?

C’è un disegno molto caro alla Lega, che prevede la sanità privata come la seconda gamba del servizio sanitario nazionale. Parallelamente a questo, anzi per permettere una accelerazione del processo serve che tutti gli italiani si dotino di una polizza assicurativa privata o comunque di un fondo sanitario integrativo, per potervi accedere. Ma da dove nasce questa esigenza? Per capirlo è sufficiente leggere attentamente un intervento del sottosegretario del ministero del lavoro del precedente governo giallo-verde Claudio Durignon, di origini venete, eletto nel territorio di Frosinone e Latina nelle file della Lega con un trascorso da sindacalista.

Ebbene l’8 maggio scorso alla Camera dei deputati si è svolto un incontro organizzato da Rbm assicurazione salute (una compagnia assicurativa molto attiva sul fronte delle polizze sanitarie), per riflettere sul futuro della sanità italiana, partendo dall’analisi di un libro dossier scritto dall’Ad di Rbm, dal titolo ‘La salute è un diritto di tutti’. Ma non fatevi ingannare dal titolo in quanto, fa sì una analisi circostanziata della situazione del Ssn denunciando le difficoltà attuali; addirittura l’analisi sembra poggiare addirittura sul diritto costituzionale previsto dall’art.32, in cui la tutela della salute è ritenuta un diritto fondamentale, un pilastro costituzionale, che caratterizza l’impianto del welfare del nostro Paese. L’aumento progressivo dell’aspettativa di vita, il miglioramento delle cure e dell’efficacia dei farmaci, fanno sì che oggi il Ssn non riesce più a gestire il flusso di persone che richiedono l’assistenza ed il costo è diventato esorbitante. Questo comporta che ogni regione spende circa l’80% del suo bilancio in spesa sanitaria, non sufficiente a garantire tutti i servizi ai cittadini. In poche parole il nostro Ssn, nato in un contesto diverso da quello attuale, non risulta più allineato alle esigenze attuali e necessita di un ‘robusto tagliando’.

E qui arriva l’ingegno leghista che va a braccetto con gli interessi del sistema delle assicurazioni private. In questi anni si è registrata una crescita costante di quote di sanità privata, a compensazione delle lunghe liste di attesa, e della carenza di offerta del Ssn. Le prestazioni al di fuori del Ssn hanno riguardato nel 2017, più di 2/3 degli italiani, in crescita nel 2018, con un esborso economico medio, per i malcapitati utenti, di quasi il doppio rispetto all’ipotetico costo di una polizza assicurativa sanitaria. Ma ancora, secondo Durignon e la Lega, questa spesa privata impatta sui cittadini meno abbienti, maggiormente gravati da questi costi e questo crea una forma di diseguaglianza, mettendo molti cittadini in difficoltà rispetto alla capacità economica nel curarsi.

Fin qui l’analisi appare abbastanza verosimile, ma ora arriva la ‘ricetta’ leghista per la soluzione al problema. Si ritiene che tale fenomeno può essere normalizzato garantendo una ‘dimensione sociale’ alla spesa sanitaria privata, attraverso la disponibilità per tutti i cittadini ‘liberi di pagarsi’ una polizza assicurativa o un fondo sanitario integrativo; e ancora, è lo stesso Stato che deve farsi carico di creare ed incentivare le condizioni per lo sviluppo di un welfare complementare da affiancare a quello pubblico. Sempre secondo Durigon, i soldi risparmiati dallo Stato, provenienti dal disimpegno dei servizi privatizzati, può essere destinato a finanziare la crescita di competitività del Paese. Conclude Durigon, che la Lega si rende disponibile ad essere interlocutore fondamentale in questo processo.

A questo chiosa la Rbm assicurazione salute, affermando che, promuovere il secondo pilastro in sanità equivale a realizzare un sistema più sostenibile, più equo ed inclusivo, in grado addirittura di recuperare quote di universalismo perdute. In conclusione la Lega sostiene che la Regione deve spendere di meno nel Ssn, e una parte di ciò che spende lo deve destinare alla crescita, e lo sviluppo delle cliniche e servizi privati. Secondo me questo sistema creerebbe una condizione per cui i cittadini avrebbero meno servizi garantiti dal Ssn e spenderebbero di più in quanto dovrebbero pagarsi un’assicurazione privata per garantirsi, più o meno gli stessi standard di salute oggi garantiti tutti dal Ssn.

Allora, secondo questa teoria in cui lo Stato spende più o meno le stesse risorse economiche garantendo meno servizi e i cittadini spendono sicuramente di più, chi trae beneficio? Ma è chiaro, le assicurazioni private che hanno ingenti risorse economiche da investire e vedono il businness della salute come sicuro; le cliniche private, molte delle quali gestite dai professori cresciuti sotto l’ala protettiva del Ssn, che si spostano secondo la logica del profitto, forse, secondo me venendo meno al giuramento di Ippocrate. La realizzazione del disegno leghista ipotizzato finirebbe per cancellare definitivamente la natura universalistica del Ssn, mettendo in discussione proprio l’art. 32 della Costituzione italiana.

Caro Salvini, caro Durigon, e soprattutto cara Tesei il servizio sanitario pubblico dell’Umbria, che purtroppo è stato oggetto di studio in maniera preponderante nelle magistrature perché ‘forse’, il beneficio del dubbio va concesso fino alla sentenza definitiva della giustizia, è stato utilizzato come una cosa propria piuttosto che un bene comune, e tutto ciò ha provocato gravi danni tanto che ha sicuramente bisogno di essere riformato; ha bisogno di assunzioni di personale e di vedere responsabilità apicali affidate a soggetti onesti e capaci, secondo un concetto meritocratico, per tornare ad essere fiore all’occhiello e vanto della comunità tutta. I cittadini umbri vogliono una sanità efficace ed efficiente a misura dei loro bisogni, una sanità amica al loro fianco. Di certo non abbiamo bisogno della ‘cura leghista’ di privatizzazione in quanto sarebbe peggiore del male.

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