Terni, crisi contenuta: ma donne penalizzate

La disoccupazione femminile è al 14,5%, ma la città può permettersi di farsi un po’ di coraggio. Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

E’ l’incertezza, il clima di scarsa fiducia, il timore che la grande impresa riservi qualche sorpresa negativa, ingigantito dalla convinzione che Terni viva solo di quell’impresa, a rendere tutto più complicato. I dati, i numeri freddi, espressione di estrema sintesi che – si dice – qualche volta inganna, non suggeriscono mica questo. Anzi. Se si va oltre le solite curiosità (quanti abitanti ci sono, qual è il nome di battesimo più usato, quanti sono gli stranieri) c’è qualche sorpresa nel compendio ‘conoscere Terni’, elaborato dagli uffici statistici comunali sulla base di dati Istat, Banca d’Italia, Agenzia delle Entrate.

La prima sorpresa, che tale non è più da un quarto di secolo, è che il settore col maggior numero di occupati è quello dei servizi, il cosiddetto terziario, e non l’industria. Il dato è provinciale, d’accordo, ma lo scostamento è talmente ampio che l’indicazione appare valida anche a livello comunale, oltretutto trattandosi del Comune capoluogo che da solo assomma quasi la metà dei residenti della provincia.

Allora: a Terni e provincia gli occupati nel 2015 sfioravano le novantamila unità, quasi diecimila in più rispetto al 2005. Nel decennio nei servizi si è oltrepassata la quota di sessantamila occupati: erano un po’ di meno allora, sono un migliaio in più nel 2015. Nell’industria trovano lavoro circa ventiduemila persone con una flessione, rispetto al 2005, che non raggiunge le mille unità. Leggero calo degli occupati nell’industria, quindi, e nell’agricoltura, ma in questo caso si tratta di cifre molto basse, e aumento maggiore dei due cali messi insieme nei servizi, il che giustifica l’aumento del totale di occupati.

Il dato negativo è che, pur aumentando gli occupati, è quasi triplicato il tasso di disoccupazione passato dal 4 per cento all’11,9, col dato riferito alla disoccupazione femminile che è schizzato dal 6 al 14,5 per cento. Comparando i dati ternani con quelli umbri e italiani, si può notare che il tasso di disoccupazione dei maschi (8,7) è minore rispetto all’Umbria (9%) e all’Italia (11,3), mentre la situazione è esattamente rovesciata per la disoccupazione femminile: al 14,5 della provincia di Terni, corrispondono il 12,2 dell’Umbria, e il 12,7 dell’Italia. In totale c’è più disoccupazione a Terni (11,2 il tasso) che in tutta l’Umbria (10,4), ma si è pur sempre sotto all’11,9 dell’Italia.

C’è pure qualche altro dato a far nascere la convinzione che le difficoltà – che pure ci sono intendiamoci – sono ingigantite a livello psicologico. Per esempio, i depositi bancari a Terni ammontano in media a quindicimila euro per ciascun abitante, e sono aumentati del 50% rispetto al 2005. I redditi medi dichiarati sono a Terni superiori ai ventimila euro (Umbria meno di diciannovemila). Infine un’occhiata alle pensioni di vecchiaia le quali a Terni valgono mediamente quasi 1.400 euro mensili, contro i poco più di mille dell’Umbria e i poco meno di 1.100 della media italiana.

A questi dati l’ufficio statistico del Comune di Terni aggiunge altri numeri e curiosità: che i residenti sono circa seicento in meno ma da qualche anno si oscilla intorno a 111 mila; che gli stranieri sono circa dodici mila per la maggior parte rumeni (anzi rumene), che si è sempre meno giovani quando ci si sposa e si fanno figli, che la cittadinanza invecchia, che il cognome più diffuso è Proietti e che i nomi di battesimo più frequenti sono Francesco e Maria.

In generale va quindi tutto bene? Certo che no, la crisi è pesante ma a Terni è forse leggermente meno pesante di quel che si teme. Terni può, quindi, permettersi di farsi un po’ di coraggio, di reagire con energia invece che raggomitolarsi e piangersi addosso o sprecare tante energie solo per trovare a chi addossare la colpa delle difficoltà. Come se stabilire questo bastasse a superarle.

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