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Home » Terni: «Io lobbista? No, indipendente»

Terni: «Io lobbista? No, indipendente»

di Fabio Toni
9 Ottobre 2019
in In evidenza, Politica, Regionali 2019
Tempo di lettura: 5 minuti di lettura
Daniele Carissimi

Daniele Carissimi

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Avvocato Carissimi, di lei si dice che in caso di vittoria della candidata Tesei e della sua coalizione di centrodestra alle prossime elezioni regionali dell’Umbria, possa essere il prossimo assessore all’ambiente, a prescindere dal suo eventuale risultato elettorale nella lista che lo vede candidato in consiglio, quella della Lega. È così?

«In questi anni ho sviluppato competenze in materia ambientale e ritengo che certe posizioni amministrative debbano essere occupate da soggetti con un percorso alle spalle che gli consenta di assumere scelte in maniera consapevole. Competenze che possono essere messe a disposizione in diversi modi ed a diversi livelli. Ritengo che le mie siano a disposizione degli elettori, in primo luogo, chiamati a decidere se tali competenze possano essere utili alla causa comune, e del presidente della Regione in secondo luogo, nella sua più ampia libertà di scelta».

Sempre di lei si dice, almeno per quel che riguarda i ‘detrattori’, che rappresenti interessi privati, come Acea o Severn Trent per non fare nomi, e che risponda a loro, alle relative esigenze di ‘business’, prima che agli elettori. È così?

«Sono vent’anni che opero nel settore ambientale e sono riuscito, con le competenze appunto, a diventare consigliere giuridico del sottosegretario all’ambiente Vannia Gava, individuato e scelto non per appartenenza politica, ma per meriti che ho conquistato assistendo soggetti che operano nel settore ambientale, attraverso la formazione, consulenze, assistenza forense ed attività scientifiche, visto che, fra le altre cose, pubblico la rivista di settore ‘Ambiente Legale Digesta’. Il mio lavoro è proprio quello di insegnare la legalità ed accompagnare i miei clienti nel percorso di adeguamento alle regole. Sono io che sono utile ai miei clienti, non viceversa. Le aziende che assisto, peraltro in tutta Italia, hanno solo l’interesse di rispettare le regole, non di trasgredirle».

Come giudica le politiche attuate sin qui dalla Regione Umbria in tema ambientale? Che giudizio dà dell’incenerimento come step di chiusura del ciclo dei rifiuti?

«Come sono state le politiche regionali? Inesistenti. Non c’è alcun tipo di programmazione ma solo una timida attenzione alle percentuali di raccolta differenziata dei rifiuti, come se il problema si limitasse a ciò. Vero è, invece, che manca del tutto la programmazione riguardo il recupero ed il riciclo. Nonostante importanti successi nella raccolta differenziata, ancora circa la metà dei rifiuti vengono conferiti in discarica. La gestione prevede una gerarchia che, dalla migliore soluzione a quella peggiore, prevede la riduzione, il riciclo, il recupero di materia, il recupero energetico e quindi la discarica. La mancanza di programmazione regionale è plasticamente evidente nell’assenza dei necessari impianti di recupero che consentirebbero ai materiali raccolti in maniera differenziata, di essere reimpiegati nei cicli produttivi realizzando la cosiddetta ‘economia circolare’. Per cui la programmazione del ciclo dei rifiuti deve in primo luogo prevedere ad autorizzare subito la realizzazione degli impianti di recupero di materia, il funzionamento dei quali renderebbe superfluo qualsiasi tipo di ricorso ai termovalorizzatori e quindi alle discariche. Quest’ultime sono a mio giudizio da bandire del tutto e, fra l’altro, la direttiva europea 98 del 2008, successivamente modificata, prevede un limite massimo di conferimento in discarica del 10% entro il 2035. Oggi in Umbria siamo al 50%».

Rispetto alla città di Terni, come giudica la realtà ed il potenziale di Asm. E che ne pensa del progetto di recupero delle scorie siderurgiche avviato da Acciai Speciali Terni?

«L’occasione garantita dal rispetto dell’economia circolare, consente ad ogni impresa che opera nel settore, o vi vuole entrare, evidenti opportunità che non scorgo in altri ambiti. Fra queste c’è senz’altro Asm che, in ragione della propria storia e delle competenze, ha una posizione preferenziale che gli consente di occupare in maniera consapevole questo mercato, potendo rinnovare se stessa ed i propri spazi di business. Quella messa in atto da Ast, invece, è un’ottima iniziativa, assolutamente esemplificativa dell’applicazione dell’economia circolare, oggi ostacolata da una normativa nazionale inadeguata. Un passo assolutamente conforme alla sostenibilità che è lecito attendersi da una società di quel calibro».

Qual è il ruolo, invece, di Arpa Umbria, che sembra aver penalizzato Terni negli ultimi anni, con una presenza via via sempre più ridotta?

«Il problema dei controlli, così come dell’esiguo numero garantito, è inevitabilmente connesso a scelte amministrative che ne hanno condizionato l’operatività, nonché alla scarsità di organico in grado di far fronte a tali controlli che, per natura e misura, richiedono tempo, professionalità adeguate e massima attenzione».

Sul Sin di Papigno e relativa bonifica, quale azione va attuata?

«La bonifica si è sviluppata sin qui in maniera ridicola, basti pensare che soltanto il 2% del territorio ricompreso nel Sin di Papigno è stato bonificato. Per accelerare tale percorso, oltre ad una maggiore attenzione degli organi ministeriali, credo vadano previsti incentivi verso le imprese orientate a sviluppare iniziative imprenditoriali nel Sito di interesse nazionale, coniugando l’interesse economico con la tutela del territorio. Non ritengo plausibile ipotizzare un miglioramento finché la bonifica rappresenta un mero costo, privo di qualsiasi iniziativa imprenditoriale collegata».

Quali sono a suo giudizio gli elementi di sviluppo connessi alle politiche ambientali?

«La politica regionale deve occuparsi non solo di fare chiarezza sulla situazione ambientale, ma deve intervenire a supporto delle aziende per incentivarle nella riconversione della produzione in un’ottica eco-compatibile. Assistendo non solo startup innovative, ma anche realtà in crisi che con lo strumento-ambiente possono avere quell’occasione che finora non sono riuscite ad agganciare. Un esempio è l’eco-design: mediamente le imprese non si preoccupano di immettere nel mercato prodotti bio-compatibili, invece tali materiali possono essere progettati e realizzati non solo per il mercato, ma anche per la prospettiva che un giorno diventeranno rifiuto. Questa ‘preoccupazione’ si può trasferire dal produttore del rifiuto, il cittadino, al produttore del prodotto, l’impresa. Qual è il tornaconto? Benefici reputazionali, qualità delle produzioni, nuovi mercati: la nascita di nuove filiere e reti di qualità eco-compatibili».

Per concludere, è convinzione diffusa che l’ambiente a Terni sia sensibilmente peggiore di altre aree del paese, per le condizioni geomorfologiche, per la presenza di industrie impattanti e di altri elementi inquinanti, più e meno storici. La vede anche lei così?

«Bisogna partire dai dati scientifici e non dalle suggestioni. Gli unici numeri che possediamo, dicono che ci sono superamenti di alcuni parametri soprattutto nella qualità dell’aria. Ma le cause, allo stato, non sono chiare. Serve conoscenza e trasparenza perché è un diritto di tutti sapere chi, cosa e come inquina. Ad esempio la presenza di impianti di monitoraggio ambientale in continuo, h24, all’interno delle imprese più impattanti, come il termovalorizzatore di Terni dove tale sistema è già presente, possono fornire indicazioni importanti. Spetta ad Arpa verificare poi il carico emissivo introdotto in atmosfera, ma il medesimo dato deve essere reso disponibile a tutti. Ciò per giungere anche ad una conciliazione sociale, all’abbattimento di paure comprensibili ma talvolta ingiustificate ed avere un controllo diretto su ciò che accade. In merito a come è stato approcciato il problema finora da associazioni e partiti, posso solo dire che per ‘deformazione professionale’ muovo critiche solo in presenza di elementi oggettivi che oggi, sull’ambiente a Terni, non ci sono. Lo stato dell’arte dei monitoraggi non ci consente di comprendere appieno la situazione ed anche per questo, non possiamo ‘sparare’ su un soggetto predefinito: le cause dell’inquinamento sono molteplici e ad oggi non ne conosciamo ancora l’incidenza».

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