«Secondo una rilevazione di Legambiente e Fillea Cgil, fino ad oggi sono state rimosse meno del 9% delle macerie complessive. Per la precisione l’8,57% del totale corrispondente a 227.500 tonnellate per un dato finale corrispondente a 2.657.000 tonnellate. L’Abruzzo ancora non ha iniziato, il Lazio si colloca al 7,7%, le Marche il 10,3% e l’Umbria al 10,2%, avendo rimosso 100 mila tonnellate circa». I numeri da cui partono Ires e Cgil (dell’Umbria e di Perugia) per fare il punto sulla situazione post terremoto sono chiari.
Le criticità Secondo Mario Bravi, Vincenzo Sgalla e Filippo Ciavaglia, occorre «accelerare le demolizioni; intervenire per salvaguardare, il più possibile, i beni di valore e interesse culturale; riorganizzare la logistica, tenendo conto che il 98% delle macerie è rappresentato da inerti; programmare il riutilizzo delle macerie, nella logica della filiera virtuosa, per la ricostruzione». Senza dimenticare che le lezioni nelle scuole «riprenderanno regolarmente, ma con difficoltà a macchia d’olio. 1220 alunni delle materne e delle elementari di Norcia riprenderanno le lezioni senza dover fare riferimento a tecnostrutture solo grazie alla consegna di moduli (da parte delle Fondazioni bancarie umbre) che ridurranno i disagi. Sempre a Norcia i 400 studenti delle medie e delle superiori riprenderanno le lezioni nelle loro strutture naturali. mentre a a Cascia le lezioni nelle materne, elementari e medie inizieranno con sezioni distaccate ad Avendita e Monteleone. Gli studenti interessati sono complessivamente 100. Il rischio in queste scuole, con il proliferare delle pluriclassi, è quello di essere uno stimolo implicito allo spopolamento».
Bravi Il presidente di Ires, Mario Bravi, mette in evidenza che «nello studio sono valutati tre aspetti nello studio del territorio: com’era, com’è e come sarà. In quel territorio, che copre il 17% dell’Umbria, vive appena il 6% degli abitanti; pur comprendendo nell’area zone come Spoleto. Eppure prima del terremoto c’era un’inversione di tendenza, con un aumento di popolazione è una vivacità economica che faceva ben sperare (ad esempio nel comune di Norcia). Il terremoto rischia di bloccare questo percorso e aggravare lo spopolamento dell’area. Mettere in sicurezza l’Appennino è importante per l’Italia come la ‘questione Meridionale’».
PARLA MARIO BRAVI (IRES) – L’INTERVISTA
Sgalla Per i segretario regionale della Cgil, Vincenzo Sgalla «il rischio spopolamento della zona colpita dal terremoto, anche in virtù della sottovalutazione, è evidente. Il post Errani presenta queste caratteristiche. Abbiamo bisogno di un piano di sviluppo e di crescita, anche come occasione per il territorio e per il Paese. Lo studio conferma che ci sono ancora delle criticità anche se l’Umbria è più avanti di altre regioni»
Ciavaglia Tema ribadito da Filippo Ciavaglia, segretario della Cgil di Perugia: «Siamo a settembre. Le temperature si sono già notevolmente abbassate in quei territori. Vogliamo sollecitare le istituzioni su alcuni temi, a cominciare dalla consegna delle stalle in parallelo con gli alloggi degli allevatori nelle immediate vicinanze, così come maggiore attenzione alle scuole, con qualcosa che vada oltre la situazione attuale».
L’assistenza Dopo il 24 agosto 2016, dicono Ires e Cgil, «sono state definite 5 aree di accoglienza, che sono salite a 55 dopo il 30 ottobre negli 11 comuni. Al 18 agosto 2017 le persone assistite sono 6.957, di cui 360 in container collettivi, 139 in strutture comunali, 618 in strutture ricettive (325 nei comuni di residenza e 87 nelle immediate vicinanze). Le persone assistite in autonoma sistemazione sono 5480 (2305 nuclei familiari). Sono stati consegnati 20 Mapre (moduli abitativi provvisori rurali d’emergenza) 44 degli altri 48 moduli destinati agli allevatori per un totale di 64. Sempre al 18 agosto «sono 138 su 783 le Sae consegnate a Norcia, Cascia e Preci, il 18% del totale. La Regione si è impegnata a consegnarle tutte entro novembre e su questo ci impegniamo a vigilare e a stimolare».

La sintesi Ricostruire presto e bene è importante, dicono in sintesi, «ma non sufficiente. Quello che serve alle aree terremotate dell’Umbria e delle altre tre regioni colpite dal terribile sisma del 2016 è un progetto di carattere economico e sociale che faccia argine al più grande pericolo che incombe ora sulle aree interne appenniniche: lo spopolamento. Già prima del sisma (dati 2011) solo il 62,7% delle abitazioni nei 15 comuni del cratere umbro erano effettivamente occupate da residenti, un dato ben inferiore alla media di tutti i comuni terremotati. Ma ci sono situazioni, come quella ad esempio di Preci o di Poggiodomo, nelle quali le seconde case o le case vuote rappresentano il 70-80% del totale. Qui è evidente – insistono Bravi, Sgalla e Ciavaglia – che in mancanza di un forte incentivo a rimanere sul territorio il rischio di abbandono è enorme». Ecco allora che per la Cgil diventa fondamentale progettare il futuro di tutta l’area terremotata, legandolo a doppio filo con quello delle aree interne del paese e della fascia appenninica. Non a caso la Cgil nazionale convocherà nei prossimi mesi gli Stati generali delle proprie strutture interessate dal terremoto, con l’obiettivo di «accertare lo stato di gestione dell’emergenza sismica e verificare dove e come sia iniziata la ricostruzione; predisporre griglie territoriali di priorità e sollecitare indirizzi e politiche di infrastrutturazione, ripopolamento e crescita economica; verificare lo stato di attuazione degli accordi territoriali e proporre una legge quadro per la gestione degli eventi sismici e delle emergenze territoriali».