di Marco Torricelli
Il progetto esiste sul serio. E non è solo in fase di messa a punto. Ma è praticamente pronto per passare a quella operativa. Le scorie di lavorazione della Tk-Ast potrebbero diventare, dice chi sul progetto sta lavorando da tempo, «materiali inerti da utilizzare in edilizia, con tanto di certificazione di qualità».
L’azienda A dirlo è Massimo Piacenti, presidente della ‘Recupero Materiali Terni’, azienda nata proprio con la mission insita nel nome: «Siamo certi, e i risultati degli studi fatti in collaborazione con quattro università italiane ce lo confermano, che quello della rivalorizzazione di ciò che oggi viene, semplicemente, considerato uno scarto, è un modello di business economicamente vantaggioso, oltre che eticamente qualificante».
Realtà ternana Ma Piacenti mette l’accento anche su un altro aspetto: «Rmt è un’azienda nella quale sono impegnati tutti imprenditori e aziende locali (oltre alla Allfoods, che intende così diversificare il proprio portafoglio, ci sono la Cosp Tecno Service, la Csc di Sabatini e Crisanti, Marco Papa della Ecoter, Andrea Sbarzella e altri; ndr) e che opera solo con capitali propri e non intende avvalersi di finanziamenti pubblici se non come elemento aggiuntivo, tanto che può vantare un capitale sociale di un milione di euro interamente versato».
Gli studi ‘Recupero Materiali Terni’ ha portato avanti la fase di studio, spiega Piacenti, «sulla base di un accordo con Tk-Ast, che è stata sempre molto collaborativa e che ha seguito con grande attenzione l’evoluzione dei test che venivano fatti e lo sviluppo del prototipo di impianto che è stato realizzato e messo in funzione». Qualche dettaglio in più – «se ce lo chiederanno, saremo lieti di parlarne», dice Piacenti – potrebbe essere svelato venerdì mattina, nella sala congressi di Arpa, al convegno ‘Terni: tra sviluppo e opportunità o declino e crisi. Le proposte della Cgil’, al quale prenderanno parte, oltre al segretario ternano del sindacato, Attilio Romanelli; la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso; la presidente della Regione, Catiuscia Marini; il presidente di Confindustria Terni, Stefano Neri e il presidente della Camera di commercio ternana, Giuseppe Flamini.
Il contratto Ora che tutto è pronto, quindi, dovrebbe bastare firmare un contratto di fornitura, con il quale Tk-Ast si impegna a fornire il materiale da lavorare – le scorie – e dare il via alla seconda fase, quella esecutiva. Ma la cosa potrebbe non essere automatica. Già, perché Massimo Piacenti appare cauto: «Adesso che noi siamo pronti – spiega – l’azienda deve prendere una decisione. L’impianto, infatti, va bene per Terni, ma non solo per Terni».
Cosa decide Tk-Ast? Rmt è «disponibile per un investimento che valutiamo essere di circa 8 milioni di euro ed è già stata individuata l’area nella quale l’impianto potrebbe essere localizzato (sulla Marattana, dove sta per essere inaugurato un altro impianto messo a punto dalla stessa Rmt, per il recupero dei materiali da asfaltamento stradale e trasformati per essere anch’essi utilizzati in edilizia; ndr); ma la Tk-Ast ci deve far sapere se intende dar seguito agli accordi».
I costi Tutto dipende, probabilmente, dai costi che la multinazionale dovrebbe sostenere, visto che attualmente spende molto poco per conferire la scoria in discarica, mentre partecipare ad un progetto del genere presuppone un investimento anche da parte sua: «Ma immagino che stiano valutando – chiosa Piacenti – quale ritorno di immagine potrebbero avere se potessero comunicare all’esterno che il loro acciaio, oltre che essere di qualità superiore, viene anche prodotto senza scaricare sul territorio gli scarti delle lavorazioni». Non fa una piega. O, meglio, non la farebbe.
Produzione o rilavorazione? Perché tutto potrebbe tornare a ruotare intorno alla domanda delle domande: ma la Tk-Ast ha intenzione davvero di continuare a produrre acciaio a Terni e, quindi, ad avere ancora bisogno di smaltire le scorie, che proprio dalla produzione di acciaio derivano? E avrebbe intenzione di farlo per un tempo sufficiente a ‘rientrare’ dell’eventuale investimento? Perché, com’è noto, un centro di seconde lavorazioni, uno stabilimento ‘a freddo’, per medio-grande che sia, questi problemi non li avrebbe.