Impresa in crisi abbatte 65 mila pulcini

Coronavirus in Umbria: «Decisione difficile da sopportare, economicamente ed eticamente». Storie di aziende e settori fermi

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Sono tante le richieste di aiuto che arrivano dagli associati Cia-Agricoltori Italiani. Storie che danno un quadro dell’emorragia che anche l’Umbria sta affrontando con l’emergenza coronavirus. Agghiacciante è quella di un’azienda della media valle del Tevere, in provincia di Perugia, che la scorsa settimana ha dovuto abbattere 64.800 pulcini, con una perdita economica di circa 40 mila euro.

EMERGENZA CORONAVIRUS – UMBRIAON

La catena interrotta

«Abbiamo un’azienda agraria – racconta il titolare – con galline e polli per la produzione di uova da cova e un incubatoio a San Martino in Campo. La nostra attività consiste nella nascita di pulcini colorati del settore rurale che vendiamo e consegniamo in tutta Italia, Grecia, Albania e Romania. L’iter è questo: dopo 21 giorni negli incubatoi, nascono i pulcini. Ad un solo giorno di vita, non oltre, li vendiamo agli allevatori che, una volta cresciuti, li rivendono ai privati. Una catena che si è fermata con il decreto #iorestoacasa perché nessuno va più a comprare il pollo ruspante dal rivenditore locale. Si sceglie, per praticità e per evitare spostamenti, solo il supermercato, dove i nostri polli non arrivano».

«Decisione dolorosa»

«Con gli ordini sospesi – prosegue l’imprenditore agricolo -, abbiamo inizialmente ridotto il mangime ai riproduttori, così da avere meno uova. Prima facevamo due chiuse a settimana, ora solo una, nella speranza che almeno una piccola parte di pulcini saranno venduti. Purtroppo, però, la scorsa settimana ho dovuto prendere una decisione drastica chiamando la ditta per abbattere quasi 65.000 pulcini, accollandomi inoltre i costi di abbattimento. È difficile da sopportare, economicamente ed eticamente. Ho provato a contattare le grandi industrie italiane e venderli anche a costi molto bassi: nulla da fare».

«Momento difficile»

«Domani (giovedì, ndR) in azienda nasceranno 99.500 pulcini. Una piccolissima parte è stata venduta e dovrà essere consegnata (Grecia e Trieste), ma il prezzo è crollato: appena 0,26 centesimi a pulcino rispetto a 0,40 del ‘prima pandemia’. Sono stato anche costretto a macellare alcuni polli e galline, per lo meno non ho spese per i mangimi. Continuo a programmare una chiusa a settimana perché spero che le cose possano cambiare da un giorno all’altro. Ma così è dura. Si tenga conto – conclude il titolare – che siamo l’unica realtà produttiva umbra del settore e che abbiamo circa venti dipendenti».

La cantina che sognava un nuovo futuro

Non va meglio nel settore vitivinicolo. «In cantina – racconta il titolare di una piccola impresa vitivinicola di Perugia – ho 190 mila euro di vino, circa 26 mila bottiglie. Fino a 15 giorni fa avevo ordini per 120 mila euro. Oggi siamo scesi a 30 mila. La Corea aveva ordinato 3 mila bottiglie per una spesa di 20 mila euro, da un giorno all’altro tutto annullato. Da Boston è saltato un ordine da 63 mila euro, dal Giappone 30 mila. Solitamente gli importatori venivano qui, assaggiano e ordinavano. Adesso non possono farlo e sto cercando di spedire dei campioni, ma si percepisce grande paura in tutto il mondo. Nessuno può muoversi. E pensare che quest’anno doveva essere l’anno della svolta per la cantina perugina: «Avevamo già firmato il contratto per costruire la cantina nuova. Tutto rinviato».

Fiori e vivai, altro duro colpo

Chi ha retto il colpo fino ad oggi, potrebbe crollare se il blocco delle attività dovesse continuare oltre il 3 aprile. Un esempio sono le aziende florovivaistiche. Il caos sul permesso o meno di acquistare fiori e piante al supermercato ha portato a uno stop degli ordini. Ad oggi, i produttori sono in bilico: se la situazione si sbloccherà potranno rifarsi con le vendite di Pasqua e del 25 aprile. Altrimenti rimarranno in serra centinaia di garofani, gerani e ortensie. Al momento, riferisce un’azienda umbra socia Cia, 15 mila piante di garofanino sono ferme. La primavera è un miraggio. Una situazione causata anche dal blocco totale del canale horeca e del settore turistico. «In un momento di emergenza sanitaria come questo – conclude il presidente Cia Umbria, Matteo Bartolini -, mentre le aziende di altri settori sospendono le attività, in agricoltura tutto continua. La natura non si ferma, i nostri animali non si fermano, la produzione del cibo non si ferma. Noi non possiamo arrenderci, anzi, cerchiamo di sostenere adesso più che mai i nostri produttori».

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