Industria 4.0: il futuro va progettato in fretta

Già oggi il lavoro è molto diverso; nel futuro sarà cambiato in maniera immaginabile solo da chi scrive di fantascienza – Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

C’è una questione che si affaccia come un nuvolone nero che oscura l’orizzonte. No, non è la scissione del Pd. Ma una questione ben più seria, definita come la “quarta rivoluzione industriale” che similmente a quel che è successo per le altre tre – ma soprattutto per la prima – incute timore, fa nascere interrogativi seri sui futuri assetti occupazionali e sociali, manda nel panico chi pensa che come conseguenza non avrà un posto di lavoro e di che campare la vita.

Per essere sbrigativi l’insieme di tanti sentimenti, idee, conoscenze e novità si definisce “Industria 4.0”, una frase che raccoglie in sé tutto ciò che è legato alla rivoluzione digitale, con gli effetti positivi e i contraccolpi negativi.

Alla fin fine non è altro che una presa di coscienza attorno a un processo in atto già da qualche anno. Da quando cioè lo “sblocco” di internet ha indotto un moltiplicarsi di fenomeni che vanno dalla raccolta dati, alla loro elaborazione, alla trasmissione e diffusione e successiva utilizzazione, composizione e scomposizione, fino ai primi effetti “pratici”, la possibilità di realizzare prototipi “in casa” mediante le stampanti 3D.

Miliardi di informazioni che possono rendere migliore la vita. Si pensi semplicemente alla banda magnetica del tesserino sanitario: potrebbe contenere tutta la nostra storia – dalla scarlattina alla senilità precoce – immediatamente a disposizione in caso di soccorso o di cura.

Come spesso accade, Industria 4.0 adesso è l’argomento più “trattato”. Se ne discute, si studia, ci si spaventa perché si intravede già che certi mestieri, lavori, competenze diverranno inutili e spariranno; che la manodopera da utilizzare sarà sempre di meno. E’ l’effetto che ebbe la macchina a vapore della prima rivoluzione industriale: “Se il lavoro lo fanno le macchine noi che faremo?”, ci si chiese. E la preoccupazione fu tale che sfociò in un movimento diffuso, il “luddismo”, che sfasciava tutte le macchine. Ma non si poté fermare un progresso che a distanza di diversi decenni non ha avuto effetti così negativi.

Ecco perché ora, circa trecento anni dopo, si cerca di attrezzarsi, di porsi il problema, di individuarne le possibili conseguenze, di capire quali possano essere le contromisure. Ed ecco perché ad esempio a Terni a discuterne tra i primi sono stati i sindacati, la Cgil che, ricordando che il sindacato non è solo trattative e contratti, ha promosso un paio di giornate di riflessione coinvolgendo attivamente le altre sigle sindacali e invitando le associaioni tra produttori a fare lo stesso.

A Perugia, invece, è stata Confindustria ad aver preso in mano il boccino e ad avviare il primo Digital Innovation Hub d’Italia.

Si discute, e ci si preoccupa: “Si vabbè, ma la manifattura? Bisogna rilanciare la manifattura”. Ovvio, a Terni il pensiero è rivolto alla grande impresa, alle acciaierie. Ma all’Ast, Industria 4.0 è già prassi e va ad appoggiare proprio lo sviluppo della manifattura. Non esisteranno mai più quegli operai in canottiera davanti ai forni Martin. Già oggi il lavoro è molto diverso; nel futuro sarà cambiato in maniera oggi immaginabile solo da chi scrive di fantascienza.

Ecco perché è necessario prepararsi e in fretta. Perché il “lontano futuro”, con la rivoluzione digitale, è tra vent’anni.

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