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Home » Terni: «Area di crisi, che fine ha fatto?»

Terni: «Area di crisi, che fine ha fatto?»

di Marco Torricelli
18 Luglio 2015
in Economia, Opinioni, Politica
Tempo di lettura: 2 minuti di lettura
Andrea Liberati

Andrea Liberati

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di Andrea Liberati
Consigliere regionale del M5S

E’ trascorso un anno esatto da uno dei momenti più drammatici che la città di Terni e l’Umbria ricordino in tempi recenti.

Il 17 luglio 2014, un mese dopo le elezioni amministrative, la ThyssenKrupp annunciò l’espulsione di 550 lavoratori dal ciclo produttivo AST, senza per giunta offrire alcuna concreta garanzia pro futuro.

Fu l’inizio di una vertenza che, in nome della bandiera nera, rossa e oro, ha segnato una storica sconfitta della politica nazionale e locale, coprotagoniste di una sterile pantomima parasindacale: la politica italiana, umbra e ternana, infatti, era ab origine del tutto prona ai desiderata dei padroni dell’Europa, indisponibili a soluzioni che non fossero il licenziamento di massa, benché incentivato.

Un esame di coscienza si imporrebbe da tempo alla classe dirigente locale e regionale, soprattutto alla luce del fatto che erano già rimasti lettera morta i tanti obiettivi del c.d. Patto di Territorio, occasionato dalla crisi del magnetico risalente a 10 anni prima. Mai nessun serio supporto sul fronte energetico – eppure l’idroelettrico era nato per le acciaierie negli anni ’20 – né alcunché fu parimenti mai realizzato sul piano infrastrutturale dal 2004 al 2014.

Eh sì, un Paese decisamente serio! A Terni si erano persino dimenticati la bretellina stradale con la Terni-Rieti – a proposito, com’è finita anche qui?

La multinazionale ha avuto gioco facile dinanzi a uomini di partito vecchi e nuovi, poiché costoro, mutuando uno schema ultradecennale, fino ad allora avevano pensato esclusivamente all’occupazione clientelare degli stabilimenti, senza mai accompagnare politicamente le complicate dinamiche di una fabbrica definita dalla propaganda di palazzo oltretutto ‘eccellenza ambientale’: si è poi visto quale tipo di ‘eccellenza’ fosse, con tassi di nichel e cromo, nell’aria e nei suoli, senza pari in Italia e ai vertici anche in Europa, con esiti infausti sul piano della salute pubblica, come finalmente accertato grazie a riscontri certificati, dopo decenni di tabù. Mentre la ThyssenKrupp, a Duisburg, investiva 300 milioni di euro/anno sul fronte ambientale, qui riservava le sotto-briciole.

Allora complimenti a tutti per tanta pochezza, per gli occhi chiusi: complimenti ai brani inesistenti della Magistratura, alle Agenzie regionali di verifica, ai politici collusi, all’Università afona, all’Azienda Ospedaliera silente, etc.!

E veniamo all’ultima promessa, l’ultima delle tante: quella della Regione ai fini dell’approvazione dell’iter per il riconoscimento dell’Area di crisi complessa Terni-Narni: Taranto e Piombino, per restare nel settore, da circa due anni sono dotate di questo strumento che, nel bene o nel male, calibrato sulle specifiche esigenze dei territori, assegna risorse significative anche per l’ambientalizzazione delle produzioni – ergo, per la legalità produttiva – e dunque per un serio rilancio occupazionale, giacché nel medio termine resteranno solo acciaierie di classe ‘A’.

In Umbria, ben due anni è invece durata la sola discussione su cosa fare, discussione inquinata, bloccata dalle incursioni corsare degli affaristi di sempre.

Ora, dopo tante parole, il Movimento 5 Stelle vuole sapere come è andata a finire con l’Area di crisi complessa.

Per questo il Gruppo regionale si rivolge a Catiuscia Marini, predisponendo un’interrogazione molto puntuale al riguardo, in omaggio alla Terni che non molla, che lotta controvento, ai troppi giovani che, con dolore, se ne sono andati, portando nel cuore questa terra. Avevano soltanto sete di futuro

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