ThyssenKrupp e Ast: cessione era già scritta

La preoccupazione, semmai, è che non sia ceduta: significherebbe che non è appetibile

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di Walter Patalocco

ThyssenKrupp vende Vdm. Alla luce di tale novità, fino a che punto c’è da preoccuparsi che la stessa sorte tocchi alle acciaierie di Terni? D’altra parte, la cessione ad altri non è forse il futuro già scritto per Ast?

ThyssenKrupp, è noto, ha dichiarato chiuso il ciclo in cui il suo core business era la produzione di acciaio. E’ stata la conseguenza della scelta, rivelatasi illusoria, che ha portato la multinazionale dal cervello tedesco a tentare un’espansione che sembrava senza confini.

Lo sbarco nelle Americhe s’è rivelato un tubo di scarico che, nel vortice, inghiottiva soldi ed utili di altri comparti di attività fino a rendere scricchiolante l’intero castello TK e a determinare l’intervento drastico degli azionisti.

Via il settore siderurgico, salvo poi – per non rischiare di rimanere con un pugno di mosche a causa dell’insolvenza da parte di chi l’aveva acquisito – riprendersi Vdm e Ast che avrebbero potuto avere un futuro roseo solo se ThyssenKrupp avesse deciso di fare di quelle due attività (di eccellenza) il seme da cui far ricrescere in giardino la pianta della produzione di acciaio.

Un acciaio ad alto valore aggiunto, così speciale da non temere la concorrenza dei paesi (ex) emergenti. L’idea è stata cullata per mesi, specialmente da parte del management di Terni.

Così non è stato, non è, e –pare assodato – non sarà. ThyssenKrupp è stata chiara, affermando in stretta sostanza: abbiamo ripreso questi stabilimenti perché costretti; ce li abbiamo e ce li teniamo, cerchiamo di renderli il più competitivi possibile allo scopo di metterli sul mercato e rivenderli, ma senza farci prendere per il collo.

Per tentare di vendere una vecchia auto serve renderla appetibile, mediante una buona e profonda manutenzione, mettendo a punto il motore, lucidando la carrozzeria. Nella fattispecie di Ast, secondo Tk, andava ridotto il personale e “aggiustato” il tiro riguardo a tipo e livelli di produzione.

E questo si è fatto. Dopo una lotta dura c’è stato l’accordo coi sindacati, ma nessuno poteva pensare che tutto fosse risolto. Per ThyssenKrupp quell’accordo è stata solo una tappa, ma il Giro continua.

Con tali premesse la preoccupazione, semmai, è che l’Ast non sia ceduta, perché significherebbe che sul mercato delle aziende non è ancora ritenuta appetibile e ci sarebbe, allora sì, da paventare altri interventi di ‘aggiustamento’, ossia un’ulteriore limitazione dei costi e quindi altri sacrifici per i lavoratori. Se Ast rimanesse nella galassia ThyssenKrupp continuerebbe ad essere il parente capitato in casa come ospite, gradito per i primi giorni, ma che presto diventa un peso, che è solo sopportato e non trattato col rispetto dovuto.

Se Ast come Vdm fosse venduta è chiaro che chiunque ne divenisse ‘unico socio’ – come recita adesso la dizione ufficiale di Ast che è per l’appunto ‘Società per azioni con un unico socio’, vorrà trarre beneficio dall’investimento, concentrando, si spera, le energie sulla produzione, la competitività legata alla qualità più che ai risparmi. E cambierebbe il management, faccenda di non secondaria importanza dato che si va sempre più affermando il concetto secondo cui il manager di un’azienda può non essere competente sul tipo di produzione.

A Terni, i manager, da Bertoni a Rademaker, da Espenhahn a Pucci erano ingegneri con esperienza di prodotti e sistemi di produzione siderurgici. Non è la stessa cosa avere una guida con esperienze nel cinema o nel tour operating.

Certo, il discorso cambia se la mission è solo ridimensionare, tagliare, applicare parametri di ristrutturazione aziendale, abbassare i costi.

La preoccupazione, allora, è un’altra: esser pronti, prepararsi ad intervenire ed orientare l’operazione di vendita se e quando ci sarà, ad evitare che una fabbrica diventi la pedina di un gioco finanziario e nulla più.

Far sentire il fiato sul collo e il peso di una comunità intera, perché è meglio soli che male accompagnati.

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