I sindacati dei medici Aroi-Emac, Cimo, Cisl Medici e Fesmed dicono la loro in merito alla recente attivazione del reparto a degenza infermieristica (Udi) presso l’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia.
Chiarezza «Non intendiamo osteggiare il ruolo delle varie professioni sanitarie – scrivono in una nota -. Pretendiamo però che vi sia una chiara e netta definizione dell’atto medico e delle relative responsabilità sulla gestione della nuova modalità organizzativa proposta dalla direzione generale. In particolare non ci risulta chiaro quale sia il ruolo del medico di riferimento nella Udi».
Il motivo «Se come detto nella delibera 53 del 4 maggio, in tale reparto afferiscono i pazienti ‘dimessi ad altro regime di ricovero’ dai reparti per acuti dell’azienda universitaria di Perugia, appare evidente che la presa in carico del paziente debba necessariamente essere del medico individuato dalla direzione generale come referente, che diventa quindi responsabile della prescrizione della terapia, della compilazione della documentazione clinica e del monitoraggio clinico dello stesso per tutta la durata della degenza. Risulta quindi – spiegano Aroi-Emac, Cimo, Cisl e Fesmed – di difficile comprensione come poi, in caso di eventuale peggioramento del paziente, ad intervenire debbano essere i medici di guardia divisionale o interdivisionale del reparto per acuti di iniziale provenienza, che hanno concluso l’iter diagnostico terapeutico con il trasferimento nel reparto a gestione infermieristica».
Il rischio Secondo i sindacati dei medici, «questa modalità di lavoro sperimentale, se non adeguatamente inquadrata nell’ambito di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale ampiamente condiviso, rischia di generare confusione negli stessi operatori oltre che nei pazienti e nei propri familiari».
La riflessione La stoccata arriva con le conclusioni: «Ci sembra – scrivono le organizzazioni sindacali – che l’apertura di tale reparto dentro l’azienda ospedaliera universitaria di Perugia, documenti il fallimento della politica sanitaria regionale che individuava in strutture territoriali specifiche (Case della salute), il luogo ideale dove attuare tali forme innovative di sperimentazione organizzativa, mentre una struttura di alta specialità come il Santa Maria della Misericordia dovrebbe avere una mission diversa».