di F.L.
Entro l’estate le procedure di valutazione degli otto progetti che hanno fatto richiesta di accesso ai 20 milioni di euro disponibili attraverso la legge 181/89, nell’ambito dell’area di crisi complessa Terni-Narni, saranno ultimate, ma le risorse accantonante «non saranno presumibilmente sufficienti a soddisfarle». Si tratta di progetti con caratteristiche che confortano per quanto riguarda l’innovazione, ma ora è necessario «sviluppare azioni di sistema che accompagnino anche la piccola e media impresa in questa conversione». Fondamentale sarà «ragionare sulle possibilità evolutive dell’accordo di programma, che ha durata triennale, ma potrà essere ampliato». Un quadro con luci e ombre quello emerso dalla relazione di Corrado Diotallevi, dirigente di Invitalia, durante la parte conclusiva della conferenza ‘La riqualificazione delle aree di crisi industriale complessa: una visione per il futuro. L’Umbria e il caso di Terni e Narni’, organizzata nei nuovi spazi espositivi di palazzo Montani Leoni da Aspen Institute Italia, in collaborazione con Confindustria Umbria e Fondazione Carit.
L’appello al Governo
Una due giorni a cui hanno partecipato soci di Aspen, tra cui il presidente ed ex ministro Giulio Tremonti, e rappresentanti delle istituzioni, del mondo del business ed esperti italiani e internazionali con l’obiettivo di creare un dibattito sulle nuove opportunità di crescita e sulle sfide poste dall’innovazione tecnologica e dalla digitalizzazione. Due elementi sui quali punta proprio l’area di crisi complessa, sia nella parte legata alle risorse nazionali, che quelle messe a disposizione dalla Regione. Su questo fronte sono stati i 55 programmi di investimento «con incrementi di occupazione piccoli ma importanti, un successo che ha visto protagoniste le imprese» ha sottolineato il vice presidente della Regione e assessore allo sviluppo economico, Fabio Paparelli. «Il percorso è stato positivo perché condiviso a monte – ha aggiunto -, ora ci aspettiamo maggiore coordinamento da parte del ministero su temi specifici come quello della infrastrutture e del Sin di Papigno. Si tratta infatti di un esperimento importante che può riuscire solo se riusciremo a correggere lo strumento normativo».
Tante multinazionali, ma poco valore aggiunto
Ma al di là delle valutazioni sul tema dell’area di crisi complessa, la conferenza è stata anche l’occasione per un’analisi più complessiva dello stato dell’industria umbria e ternana, anche sulla base dello studio Remaking Umbria, a cura di Fabio Pammolli, full professor of economics and management del Politecnico di Milano e di Armando Rungi, assistant professor della Scuola Imt Alti Studi di Lucca. Dall’analisi emerge che le imprese di Terni – territorio nel quale sono concentrate la maggior parte delle 34 multinazionali umbre, che contano in totale 7.300 dipendenti e 5 miliardi di fatturato – generano in media un minor valore aggiunto di quelle perugine, più in generale il valore aggiunto a Terni è minore lungo i segmenti di filiere che richiedono maggiore standardizzazione tecnologica, per esempio nelle fasi di assemblaggio e nella produzione di parti e componenti. Nel contempo, nel complesso della regione, tra le 62 mila imprese umbre nel periodo 2007-2017, quello a cavallo delle due crisi, si è manifestata una forte polarizzazione nella competitività delle aziende: imprese molto competitive si trovano ad operare nello stesso territorio accanto ad imprese il cui livello di efficienza tecnologica è molto basso. Un problema sul quale sarà necessario intervenire.
Alunni ottimista
«Terni ha dato molto al paese ed è stato motore di sviluppo industriale per l’Umbria – ha sottolineato nel suo intervento il presidente di Confindustria Umbria, Antonio Alunni. Sono particolarmente lieto di questa iniziativa prestigiosa per la quale ringrazio la Fondazione Carit e Aspen Institute Italia. Il tema della crescita, infatti, è un tema primario che deve tornare a passare per l’industria. Questo territorio è caratterizzato da una profonda cultura industriale che esprime talenti e capacità uniche in molteplici settori produttivi. Le aziende che Confindustria Umbria rappresenta, che costituiscono il 91% della manifattura regionale, in questi ultimi anni sono cresciute in dimensione, fatturato, investimenti, marginalità e soprattutto in occupazione. L’industria è il vero motore della creazione di valore e della valorizzazione del capitale umano».
Le prospettive per il futuro
Per Giulio Tremonti «Terni è stata molto forte un po’ di anni fa, resta la cultura e l’esperienza che rappresentano un patrimonio prezioso. Un conto è cominciare dal nulla, un conto è ricominciare avendo una base». «Un cambiamento degli scenari economici è in atto a livello globale – ha aggiunto il presidente della Fondazione Carit, Luigi Carlini, e in qualche modo dovrebbe investire l’Italia e si spera anche la nostra Regione: ovvero la diffusione delle nuove tecnologie, che potrà dare la giusta spinta alla produttività. In tempi di rivoluzione digitale, peraltro, si richiede nelle aziende la presenza di risorse umane con elevate competenze e capacità professionali. Tre – ha concluso Carlini – potrebbero essere, quindi, in sintesi i fattori di successo: accelerare l’innovazione investendo in ricerca e sviluppo; incentivare la crescita di aziende del futuro; stabilire un ambiente digitale dinamico».