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Home » Terni: «I pazienti ti tatuano l’anima»

Terni: «I pazienti ti tatuano l’anima»

di Fabio Toni
27 Aprile 2020
in Ambiente e salute, Apertura 5, Coronavirus, In evidenza
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
Foto archivio

Foto archivio

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di F.T.

«Trascorrere il tempo con i pazienti, attendere quei due tamponi negativi, piangere come e più di loro, ti ripaga di ogni sforzo. Delle ore trascorse senza tregua al lavoro, della fame e della sete che ti assalgono quando hai tutte quelle cose addosso e non puoi neppure mangiare né bere. Tutto ciò fa capire che il lavoro che stai facendo va oltre lo stipendio mensile: se non lo ami, non puoi farlo».

SPECIALE CORONAVIRUS – UMBRIAON

La conquista: il doppio tampone negativo

La clinica delle malattie infettive dell’ospedale ‘Santa Maria’ di Terni, diretta da Michele Palumbo, è uno degli epicentri dell’emergenza sanitaria legata al coronavirus. A raccontare il lavoro, le emozioni e le speranze di chi trascorre buona parte della giornata lì, sempre insieme ai pazienti Covid+, è un’infermiera: Francesca Venturi. «L’emzione più bella? Quando arriva quel doppio tampone negativo che fa, finalmente, tornare a casa persone che stavano qui con noi anche da venti, trenta giorni. Settimane in cui siamo noi la loro famiglia. Tifiamo come e più di loro perché la speranza possa avversarsi e quando succede, piangiamo insieme. Credo che la cosa più bella sia ciò che ciascun paziente ti lascia ed è qualcosa che somiglia ad un tatuaggio nell’anima, indelebile».

Molto è cambiato

Dall’inizio dell’epidemia il lavoro di chi è in prima linea nella clinica di malattie infettive si è rivoluzionato. In ogni senso. «Siamo stati catapultati di punto in bianco in una realtà nuova – racconta Francesca -, ci siamo rimboccati le maniche e adattati. Subito abbiamo ricevuto supporto, con il passaggio da dieci ad oltre venti unità operative. E il personale medico medico che condivide con noi le fatiche di ogni giorno, non ci ha fatto mai mancare nulla. Lo stesso vale per tutti, fino agli addetti alle pulizie che ora entrano la mattina alle 6 e escono alle dieci di sera. La macchina organizzativa ha funzionato. Certo, le piccole lacune ci sono sempre ma abbiamo cercato di sopperire dandoci un unico obiettivo: sostenere i pazienti».

Paura e solitudine, i nemici

L’impatto emotivo – e pure pratico – con il Covid-19 è stato pesante, per tutti: «All’inizio arrivavano continuamente malati. Nei loro occhi c’era quasi sempre il terrore, del virus e di vedere persone, come noi, completamente coperte da ogni dispositivo. Era quello l’impatto più duro, insieme alla solitudine che avrebbero sperimentato di lì ai giorni seguenti. Noi abbiamo cercato di aiutarli a superare quella naturale paura, infondendo calma e fiducia in ciò che l’ospedale stava facendo per loro. Non è stato semplice».

Un sostegno spesso decisivo

La solitudine, forse l’aspetto più pesante – unito alla paura di non farcela – di chi è finito in reparti come i Mar, malattie infettive o nelle intensive: «Sì – spiega Francesca Venturi -, purtroppo esci di casa per essere ricoverato e ti ritrovi da solo finché non esci dal tunnel. Il supporto che abbiamo cercato di dare è stato soprattutto questo, oltre quello strettamente infermieristico. Un aiuto umano, complementare a quello psicologico, a persone di ogni età e in ogni condizione, come una paziente in stato di gravidanza e tanti anziani. Proprio gli anziani sono i più soli e abbandonati. Con il nostro telefono aziendale abbiamo cercato di far stare tutti più vicini alle proprie famiglie. E se una persona di mezza età ha magari il suo smartphone per comunicare, un 90enne poteva contare solo sul nostro supporto. Fra loro anche una donna di 92 anni che è guarita e la cui vittoria è stata un orgoglio e una gioia per tutti noi».

Le angosce quotidiane

La paura principale per chi lavora in un contesto del genere, è trasmettere la malattia ai propri cari: «Sì, all’inizio era davvero tanta – racconta l’infermiera – e ancora è presente, anche perché io ho due figli piccoli e il primo pensiero è sempre per loro. Forse ora abbiamo imparato un po’ a gestirla, la paura, razionalizzandola. Ma l’elemento di fondo resta e penso che non riusciremo ad allontanarla fino a quando la situazione non sarà definitivamente risolta».

Cosa resta? Tanto

Anche se è presto per stilare bilanci, qualcosa questa grave pandemia lo ha già lasciato in chi si è trovato a doverla fronteggiare in prima linea: «Tutti gli aspetti umani di questi giorni sono il vero tesoro che ciascuno di noi porterà con sé. Lottare insieme ai pazienti per la loro guarigione è ciò che facciamo ogni santo giorno. Vedersi ringraziati con una lettera che ha commosso tutti, come nel caso di quella ragazza incinta, o con un post bellissimo, come quello del sindaco di Spello che è guarito, ripaga di ogni sforzo. La differenza sta qui, nel cuore che ciascuno di noi ci mette. E il nostro, oggi, è ancora più grande».

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