di S.F.
Ancora un verdetto, questa volta a favore del Comune di Terni rispetto al recente provvedimento del Consiglio di Stato. Prosegue con un nuovo passaggio al Tar Umbria la lite tra l’amministrazione comunale e una cittadina proprietaria di un’abitazione in strada della Civitella, a borgo Bovio: nel mirino di palazzo Spada ci sono una cementata e una rampa di accesso – ritenute abusive – realizzate in un’area destinata all’ampliamento della sede stradale. Il confronto è nato dall’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi firmata il 4 aprile del 2019 ed a distanza di un anno e mezzo è arrivata la sentenza di merito del Tribunale amministrativo regionale.
IL RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO SUL GIUDIZIO CAUTELARE: LA STORIA
Il perché del ricorso: edilizia libera e abuso
La VI° sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato – in sintesi – aveva specificato che in realtà doveva ancora «essere vagliato il tema della effettiva esistenza di una destinazione all’ampliamento della strada», accogliendo l’appello della ricorrente sul giudizio cautelare. I problemi sollevati dalla donna sono diversi: in primis l’ordinanza di demolizione – si legge nel provvedimento del Tar – che andrebbe a reprimere «un abuso in realtà mai realizzato in quanto assentito con la vecchia licenza edilizia del 1967». Inoltre la rampa di accesso all’abitazione rientrerebbe tra le opere di edilizia libera essendo un intervento concretizzato per l’abbattimento delle barriere architettoniche, «non alterante la sagoma dell’edificio». Bocciati entrambi i motivi di ricorso: «Il tit0lo edilizio – scrivono i magistrati riferendosi a quello del 1967 -, seppur smarrito (dal Comune, ndR), mai avrebbe potuto assentire le opere in questione, in quanto rilasciato sulla scorta della precedente pianificazione urbanistica contenente una previsione di viabilità incompatibile con i manufatti di parte ricorrente. Appare ragionevole ritenere che siano stati realizzati negli anni 2006/2007, ovvero successivamente al titolo edilizio del 1967, che parte ricorrente erroneamente richiama a sostegno dell’illegittimità dell’ordine di demolizione».
La pianificazione
Tra i punti tirati in ballo dalla cittadina c’è l’illegittimità dello strumento pianificatorio «nella parte in cui include il terreno ove sono state realizzate le opere in contestazione nella fascia di ampliamento della sede viaria, trattandosi di previsione che avrebbe dovuto essere notificata alla proprietà dell’area in questione ai fini della conoscenza legale» ed il fatto che non «risulta essere mai stato approvato un piano particolareggiato o di attuazione con riferimento al tracciato stradale di interesse comunale». Doppio ‘no’ anche in questo caso dal Tar: «Degradazione dell’area di proprietà ricorrente a ‘zona bianca’, non trattandosi di un vincolo preordinato all’esproprio, bensì di vincolo inerente la viabilità espressione della più generale potestà di pianificazione del territorio, non necessitante come tale di notificazione individuale».
La sanzione troppo pesante
Non è finita qui. Lamentela anche per la «sproporzione della sanzione demolitoria, dovendosi se del caso procedersi unicamente al pagamento di una sanzione pecuniaria» e per il Comune che «avrebbe dovuto effettuare un giudizio di compatibilità , ossia valutare se la permanenza delle opere fosse effettivamente di impedimento alla destinazione impressa ed alla circolazione». Altro rigetto: «La sanzione pecuniaria – chiudono i giudici amministrativi – è incompatibile con il predetto vincolo urbanistico, la cui esistenza fin dal 1960, ovvero ben prima delle realizzazione dei manufatti in questione, esclude in radice qualsivoglia valutazione di compatibilità ». Risultato: ricorso respinto e 2.000 di spese di giudizio da pagare al Comune. La storia tuttavia potrebbe vivere un’ulteriore scia.