di S.F.
«Gli odierni ricorrenti non sono titolari di alcuna aspettativa qualificata né invero lamentano effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare dalle scelte urbanistiche censurate, anche soltanto in termini di scadimento della ‘qualità della vita’, dolendosi unicamente, in definitiva, del più favorevole indice di edificabilità attribuito alle aree confinanti». È quanto aveva deciso il Tar Umbria nel 2020 per un ricorso di alcune persone residenti a Colle dell’Oro dopo l’adozione e l’approvazione da parte del Comune di una variante al Prg (parte operativa) nell’aprile 2009. Ora, a distanza di anni, il Consiglio di Stato ha rovesciato la situazione.
Passo indietro. Nel 2020 Roberto Lavagnini, Angela Palma Iantaffi e Daniele Zagaglioni – i nominativi sono tutti pubblici – avevano impugnato la sentenza (per loro negativa) del Tar contro il Comune, tutti difesi dall’avvocato Maria Di Paolo. Motivo del contendere originario nel 2009 la variante per la destinazione d’uso ad un fondo dell’area, «lamentando gli effetti che sarebbero derivati dalla realizzazione di un albergo». In I grado fu sancita l’inammissibilità per difetto di interesse.

Il 4 dicembre c’è stata l’udienza in VII sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato e la storia è cambiata. «Il primo motivo di appello censura l’errore e il travisamento sul quale si fonda la pronuncia di inammissibilità. Parte appellante eccepisce di non essersi doluta dell’aumento di cubatura concesso al controinteressato (non costituiti in giudizio), quanto della destinazione dell’area, idonea ad incidere ‘direttamente ed irreversibilmente’ sulla qualità della vita oltre che sul valore delle proprietà confinanti». E per il Cds l’appello è fondato in primis proprio sull’ammissibilità del ricorso in I grado.
I ricorrenti hanno chiarito l’interesse a ricorrere non alla mera questione di vicinanza, ma «piuttosto alle concrete ricadute degli effetti della variante (alcune delle quali specificamente indicate) sulla fruizione della loro proprietà. La struttura in questione ospita tra l’altro eventi e matrimoni in un’area di pregio naturalistico». Ma perché il Comune all’epoca si mosse in quella direzione? «Avrebbe motivato i provvedimenti sull’assunto che la zona oltre ad essere pregevole sotto il profilo ambientale, sarebbe anche ‘turistica’». E gli interessati lamentano il fatto che « la variante abbia contribuito non tanto a risolvere una problematica sociale, quanto piuttosto a valorizzare la proprietà del richiedente».

I magistrati amministrativi spiegano che il problema sollevato «non è tanto (o non soltanto) se la destinazione alberghiera, con gli usi che ne conseguono, sia compatibile o meno con il vincolo, ma – prima ancora – se la variante (adottata dopo breve tempo dall’approvazione del Prg) sia sufficientemente e congruamente motivata, anche in relazione alla manifesta incompatibilità (e, dunque, irrazionalità) di una modifica intervenuta quasi subito, rispetto alle finalità del vincolo come esplicitate solo un anno e mezzo prima». Ed ecco l’esito.
Il Consiglio di Stato ha condiviso le censure proposte in I grado: «Ssono fondate nella parte in cui deducono una contraddizione, non altrimenti motivata, fra la variante che autorizza l’albergo, e il Prg del 2008 che delimitava al massimo l’edificazione “riservandola alle costruzioni utili al fondo o destinate alla residenza qualificata”. L’incompatibilità della variante (intervenuta a distanza di 15 mesi) con l’idea di sviluppo del territorio poco tempo prima esternata dall’amministrazione è in tal senso testuale e manifesta. Va inoltre considerato che ciò che caratterizza la fattispecie è che i provvedimenti impugnati hanno dato vita ad una variante individuale, relativa solo ad un preciso fondo, su richiesta del proprietario del medesimo».

Di conseguenza – chiude il Consiglio di Stato – non può ravvisarsi «alcun ragionevole e legittimo legame fra la contestata scelta di variante e le esigenze personali degli occupanti l’immobile in questione. Indipendentemente dalla ragione addotta per perorare tale richiesta, essa ha avuto come esito un mutamento della destinazione d’uso che con tali ragioni non ha alcun legame logico, avendo riguardo ad uso dell’immobile non già di tipo residenziale (il che, in tesi sarebbe stato congruente alle segnalate esigenze), ma piuttosto alberghiero, e dunque proiettato in una dimensione non soltanto non coerente a tali esigenze, ma anzi con esse potenzialmente confliggente». Il CdS accoglie e annulla gli atti impugnati. Con palazzo Spada condannato a pagare 7 mila euro di di spese. Firmano il presidente Marco Lipari e l’estensore Giovanni Tulumello.