Aggressioni ai sanitari: l’Opi di Terni celebra la giornata dedicata. «Le cause sono precise»

L’Ordine delle professioni infermieristiche: «Incredbile che avvengano dopo lo sforzo per la pandemia. Si può fare molto»

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Il 12 marzo è la prima edizione della ‘Giornata contro la violenza agli operatori sanitari’, istituita il 27 gennaio scorso con decreto del ministero della Salute. Nell’occasione la Regione Umbria, attraverso la Scuola umbra di amministrazione pubblica, ha voluto organizzare un’iniziativa per promuovere una cultura che si discosti da ogni forma di violenza nei confrontmi dei lavoratori del settore sanitario e socio-sanitario.

Numeri inquietanti

L’Ordine delle professioni infermieristiche di Terni, attraverso il tesoriere Mirko Casciotta, ha accolto l’invito della Regione a prendere in esame la tematica, così attuale. Infatti, la violenza agli operatori sanitari è un fenomeno sempre più preoccupante e in continua crescita, inasprito ulteriormente dalla pandemia: basti pensare che, secondo i dati Inail, il 90% degli operatori sanitari – di cui il 78% donne – è stato coinvolto, nel corso della sua attività, in episodi di violenza fisica, verbale o psicologica.

Le cause alla base del fenomeno

A volte le aggressioni sono particolarmente brutali, tanto da offendere non solo fisicamente, ma anche moralmente il professionista, causando lesioni anche gravi. La causa del fenomeno è multifattoriale e dipende, tra l’altro, dalla cronica carenza di personale del servizio sanitario nazionale, dall’elevato carico di lavoro e dalla complessità assistenziale dei pazienti presi in carico. Si rilevano, sempre con maggiore frequenza, episodi di violenza sul luogo di lavoro ai danni dei sanitari che restano vittime di minacce, abusi ed aggressioni per mano dei pazienti stessi o dei loro familiari.

La pandemia ha peggiorato le cose

La pandemia, in questo senso, ha determinato nuove tensioni acuendo una situazione già difficile da contenere. In questi ultimi due anni si sono create situazioni che hanno portato a nuovi episodi di violenza: per esempio l’impossibilità dei parenti di visitare i pazienti ricoverati o le aggressioni e minacce – anche di morte – da parte dei cosidetti ‘no-vax’. «Il problema – osserva l’Ordine delle professioni infermieristiche di Terni – richiede una strategia correttiva che riveda le basi della comunicazione e dall’organizzazione sanitaria. La prevenzione degli episodi di violenza sugli operatori dovrà identificare i fattori di rischio per la sicurezza del personale adottando diverse strategie organizzative, strutturali e tecnologiche che siano consone; dovrà sostenere una politica di tolleranza zero verso atti gli atti di violenza presenti nei servizi sanitari; dovrà incoraggiare il personale a segnalare subito gli episodi. Inoltre si dovrà facilitare il coordinamento con le forze dell’ordine e comunque interagire con tutti i soggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie per eliminare o attenuare la violenza nei servizi sanitari. Solo l’impegno comune può migliorare l’approccio al problema e garantire un ambiente di lavoro sicuro. Gli infermieri non sono bersagli mobili e, oggi più che mai, come Ordine chiediamo tolleranza zero verso la violenza nelle strutture sanitarie».

Le strategie da mettere in campo

Secondo l’Opi di Terni, «si deve puntare sulla formazione e sulla comunicazione, insegnando agli infermieri come gestire al meglio le situazioni critiche e i pazienti ‘difficili’. Non si può pensare di risolvere un problema con le stesse modalità che hanno determinato il problema stesso, ovvero solamente reprimere o punire gli episodi. Occorre riflettere sulle ragioni della violenza che potrà essere prevenuta solo con l’adeguata analisi delle sue cause; occorre insegnare e alimentare la cultura dell’attenzione ai bisogni altrui, per prevenire eventi cruenti nelle relazioni umane e sociali. E poi – prosegue l’Ordine – sarà essenziale un supporto psicologico personalizzato per aiutare gli operatori sanitari, vittime di aggressioni fisiche o verbali sul luogo di lavoro, a vincere lo stress e a superare il trauma vissuto».

«Incredbile che chi si è tanto speso, venga aggredito»

L’Ordine degli infermieri ternani rimarca poi come «il personale sanitario ha dimostrato durante la pandemia, e lo dimostra ogni giorno, grande spirito di abnegazione, professionalità e impegno. Di fatto è incredibile che venga aggredito, anziché essere ringraziato.
Organizzare corsi di formazione con il coinvolgimento di psicologi e altre figure professionali qualificate si ritiene indispensabile come atto di prevenzione secondaria al problema, per insegnare agli infermieri e non solo, come migliorare la comunicazione e la relazione con gli utenti al fine di contenere l’insorgere di situazioni ‘conflittuali’. La formazione – prosegue l’Opi di Terni – deve essere integrata e inclusiva anche tra tutti i professionisti, affinché, la violenza venga prevenuta nel processo di comunicazione che vede coinvolti i colleghi e tutti i professionisti che partecipano ai processi assistenziali. Deve esserci, da parte di ognuno di noi, l’impegno costante contro ogni forma di aggressione nelle strutture sanitarie, coscienti che ogni cura inizia dal rapporto di fiducia tra operatore e paziente, e che questa alleanza deve essere il perno del sistema sanitario».

«Le ore di attesa nei luoghi di cura non aiutano: serve personale»

Tornano all’incontro di Villa Umbra, per l’Ordine «è da giornate come questa che nei vari livelli istituzionali si devono programmare eventi formativi che implementino la conoscenza e la gestione del fenomeno aggressione, a partire dai corsi di laurea che devono prevedere nell’offerta formativa le tecniche di de-escalation per la gestione dei conflitti (toni pacati, non sovrapporsi nel dialogo alla persona che abbiamo di fronte, non accusare o colpevolizzare etc.). A questi possono essere associati corsi di formazione Mga (metodo globale di autodifesa). Le istituzioni dovranno far sì che il sistema rischio clinico abbia modalità condivise, diffuse e interconnesse tra loro, che le strutture garantiscano sicurezza e che ci sia sempre di più personale formato e numericamente adeguato perché ore di attesa nei luoghi di cura non aiutano la prevenzione degli atti di violenza».

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