Amelia, crollo mortale: «Dov’è la giustizia?»

I familiari di Gastone Chieruzzi, morto sotto le macerie dell’ex monastero Santa Monica, chiedono alla procura di riaprire il caso

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Il 28 giugno del 2008 i solari dell’antico palazzo di Santa Monica, un ex monastero di clausura delle suore Agostiniane situato nel centro storico di Amelia, vennero giù all’improvviso. Uno degli inquilini, il 61enne Gastone Chieruzzi, ex operaio delle acciaierie di Terni perse la vita sotto le macerie. Un altro residente, Luigi Raciti, riportò diverse ferite e fratture.

L'ex monastero di Santa Monica

L’ex monastero di Santa Monica

Nessuna sorpresa La vicenda è sfociata in un processo giunto a sentenza un anno fa, di fronte al tribunale di Terni. Un procedimento che ricollegava il crollo agli errori effettuati quattro anni prima, durante l’esecuzione di alcuni lavori di ristrutturazione del tetto. Quel processo si è concluso con l’assoluzione di tutti e quattro gli imputati e la cosa, diversamente da come si potrebbe immaginare, non ha sorpreso più di tanto i familiari del 61enne rimasto sotto le macerie.

Un’altra verità Il motivo è semplice: secondo loro la verità è un’altra rispetto a quella ipotizzata in aula dalla procura. Ed è contenuta non solo nelle diverse perizie e consulenze svolte nel tempo, ma anche nella stessa sentenza del processo. Per questo i familiari di Gastone Chieruzzi non ci stanno e chiedono – con una determinazione che il tempo non ha scalfito – che venga fatta finalmente giustizia: «Perché oggi – dicono i figli del 61enne, Ilaria e Leonardo Chieruzzi – i fatti sono chiari come e più che in passato. È allora è lecito chiedersi perché il pm Massini, che inizialmente si era occupata del caso con impegno, oggi non sembra seguire con altrettanta determinazione una strada che parla di responsabilità chiare ed evidenti».

Le infiltrazioni In sostanza, per la famiglia Chieruzzi, il crollo dell’antico palazzo di Santa Monica è dipeso dalle infiltrazioni di acqua, proveniente dalla fognatura pubblica, nelle fondamenta dell’edificio. «A dirlo non siamo noi – spiegano – ma le perizie svolte in diverse fasi. Durante le indagini, con l’incidente probatorio dell’ingegner Laudazzi che afferma ciò con chiarezza, fino alla consulenza tecnica preventiva svolta in sede civile dall’ingegner Magnanelli, sulla base delle prove geologiche e dei carotaggi eseguiti a spese di chi, come noi, viveva nell’ex monastero. Test che hanno dimostrato come l’acqua che inondava le fondamenta era quella della fognatura pubblica». La stessa sentenza del processo di primo grado, elaborata dal giudice Rossana Taverna, indica come necessario un approfondimento sulla situazione del sottosuolo, sulle possibili infiltrazioni, per capire come siano andate davvero le cose.

«Non chiudere gli occhi» «Oggi quell’edificio è a rischio crollo – dicono Ilaria e Leonardo Chieruzzi -. Dentro ci sono ancora molte cose della nostra famiglia e altre le abbiamo portate via a nostre spese. Quella tragedia ci ha cambiato la vita e ora chiediamo alla giustizia e alla magistratura di fare la propria parte. Perché chiudere gli occhi non è giusto, per noi e per papà».

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