Comune di Amelia prende terreni ma si ‘dimentica’ di chiudere l’iter: il Tar condanna

Accolto il ricorso della proprietaria in merito alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (strada) e l’accordo di cessione bonaria: manca la stipula dell’atto definitivo

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di S.F.

Fare una dichiarazione di pubblica utilità, un accordo di cessione bonaria con esproprio e poi ‘dimenticarsi’ di stipulare l’atto di cessione definitiva ed emanare lo specifico decreto entro i termini stabiliti dalla normativa. È successo ad Amelia e a distanza di anni dall’episodio il Comune è stato condannato dal Tar dopo il ricorso della ricorrente, vale a dire la proprietaria del terreno in questione. Vicenda curiosa.

I progetti approvati e l’esproprio 

La donna, difesa dall’avvocato Maria Di Paolo, si è mossa con un ricorso al Tar per chiedere l’accertamento di sopravvenuta decadenza ed inefficacia di dichiarazione di pubblica utilità: tutto relativo a delibere di consiglio comunale del 2008 e del 2009, compreso l’accordo per la cessione bonaria. Nello stesso periodo furono approvati il progetto definitivo ed esecutivo per la realizzazione della viabilità alternativa alla SR205 Amerina con indicazione delle aree da assoggettare all’esproprio. Con tanto di variante urbanistica. Prassi. Di mezzo anche la casa della signora in questione e alcune coltivazioni.

L’immissione e l’inghippo

Il Comune, seguito nel giudizio dall’avvocato Antonio De Angelis, poco dopo si è presa i terreni della ricorrente e nel maggio 2011 ha sottoscritto un accordo di cessione volontaria comprendente – entro 45 giorni dalla sottoscrizione – un acconto con saldo previsto al momento della stipula dell’atto. Bene. Peccato che sia saltato l’ultimo pezzo del puzzle. E quindi la signora ha chiesto la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni per «la privazione dell’immobile a seguito dell’ occupazione divenuta illecita, a partire dal 2014 e sino alla sua restituzione; la restituzione delle aree , previo il loro ripristino e la condanna in ogni caso a pagare il corrispettivo dovuto ed il risarcimento del danno». La cessione volontaria del maggio 2011 ha avuto un valore di 155 mila euro.

La decisione del Tar: «Posizione Comune illecita»

Per l’amministrazione di Amelia «al momento dell’introduzione del procedimento giurisdizionale non erano scaduti i termini della dichiarazione di pubblica utilità» ed ai fini del perfezionamento della cessione «non occorre la forma solenne dell’atto pubblico, ma è sufficiente la forma scritta che rechi l’offerta e l’accettazione dell’indennità di esproprio), purché si evinca inequivocamente l’enunciazione degli elementi essenziali del contratto e l’accordo delle parti su di essi, con conseguente effetto traslativo reale (ai sensi dell’art. 1376 c.c.) di tutte le aree oggetto di occupazione, percependo concretamente il 100% dell’indennità di esproprio e di soprassuolo». Il Tar tuttavia spiega che non può «essere applicato alla fattispecie l’invocato principio della idoneità traslativa di un atto scritto che contenga tutti gli elementi necessari e sufficienti ad indicare la volontà di cedere il bene oggetto di occupazione con la conseguenza della cessazione dell’eventuale occupazione illecita». In più il Tribunale amministrativo regionale puntualizza nella sentenza che è del tutto «irrilevante è anche, nella specie, richiamare che l’approvazione delle varianti di un progetto definitivo di opera pubblica costituiscono dichiarazione di pubblica utilità in presenza di successive varianti (rispetto al progetto originario) di approvazione e conferma dell’opera pubblica in questione, con la conseguenza che i termini (iniziale e finale) di validità della dichiarazione risulterebbero più volte rinnovati. Tale tesi non può essere automaticamente applicata al caso in esame». In definitiva per il Tar la posizione del Comune «risulta divenuta illecita causa la scadenza del termine quinquennale di validità della dichiarazione di pubblica utilità fissato sin dal momento della delibera 58/2008, ed entro il quale come nel caso di specie, devono realizzarsi o la formale cessione delle aree o l’emanazione di valido decreto di esproprio».

Le conseguenze: due opzioni

Il Tar per chiudere la partita indica tre vie d’uscita. In ogni caso da perfezionare entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza del 2 settembre, pena la possibilità di nominare un commissario ad acta: si parte dall’acquisizione ‘sanante’ «con effetto non retroattivo, dei beni occupati , ad effetto non corrispondendo gli importi dalla norma contemplati (art. 42-bis), per i periodi compresi tra l’inizio dell’ occupazione legittima ed il quinquennio di validità della dichiarazione di pubblica utilità originaria e tra la scadenza del quinquennio di validità della dichiarazione di pubblica utilità (ottobre 2014) e il momento di effettiva regolarizzazione giuridica della situazione; la restituzione delle aree occupate, previa riduzione in pristino delle stesse, con risarcimento del danno da mancato godimento dei beni sulla base del loro valore venale e per il periodo compreso tra la data di occupazione e quella di restituzione del bene». Ricorso accolto. Intanto c’è la condanna a carico del Comune del pagamento di 2.500 euro per le spese del giudizio.

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