Ast decisiva per il polo italiano dell’acciaio ‘firmato’ Arvedi

Il Gruppo che si appresta a concludere il passaggio di mano, conta diversi impianti e l’interesse per Piombino è reale. Verso l’autonomia produttiva?

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L’Italia è il decimo player siderurgico mondiale e il secondo in Europa dopo la Germania. Il settore dà lavoro a quasi 35 mila persone, produce ricavi complessivi per quasi 60 miliardi di euro e, eccetto ovviamente le materie prime, ha tutte le caratteristiche di una filiera produttiva: si parte dalla produzione fino ad arrivare alla distribuzione e agli utilizzatori finali. Nonostante ciò, la domanda di acciaio delle imprese italiane continua a superare l’offerta nazionale e il nostro Paese continua ad essere classificato come importatore. È probabilmente qui la chiave per leggere l’operazione Arvedi-Ast con un’altra lente rispetto al semplice rafforzamento del gruppo cremonese, così come la notizia trapelata nelle ultime ore, secondo cui il cavaliere di Cremona, dopo aver chiuso la pratica Ast, punterebbe ad acquistare gli impianti di Piombino: in quest’ottica inizia ad assumere un altro significato.

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All’orizzonte c’è l’autonomia italiana nell’acciaio

Il disegno di Arvedi a questo punto potrebbe essere quello di costruire il più grande polo siderurgico italiano, rendendo finalmente l’Italia indipendente per quanto riguarda la produzione di acciaio, seguendo così, tra le altre cose, le volontà dell’Unione Europea. Un Paese manifatturiero come l’Italia deve avere dei produttori siderurgici interni, per evitare di dipendere dal prezzo determinato da altri Paesi che, pur essendo proprietari di stabilimenti italiani, possono agire in chiave competitiva, mettendo il Paese in difficoltà.
Giovanni Arvedi, che ha fondato la sua azienda a Cremona nel 1963, potrebbe puntare a risolvere questa situazione. Intanto l’impianto di Terni si aggiunge alle altre sei unità produttive del gruppo: due a Cremona, una a Trieste, la Ilta Inox a Robecco d’Oglio (sempre in provincia di Cremona), la Arinox a Sestri Levante (Genova) e la Metalfer a Roé Volciano (Brescia).

L’esempio di Trieste

Ormai abbiamo imparato a conoscere il metodo con cui Arvedi gestisce le sue proprietà, così come la sua volontà di investire nelle proprie aziende e sul territorio. Ne è esempio la precedente esperienza di acquisizione della Ferriera di Servola, a Trieste. Qui Arvedi sta investendo 100 milioni di euro, in parte destinati a realizzare un impianto di elettrolisi che produrrà idrogeno ‘verde’ per alimentare l’acciaieria. A Cremona inoltre sono numerosi gli interventi di restauro che il cavaliere ha finanziato per impreziosire la città.

Il tema dei costi dell’energia

In ogni caso, con l’acquisizione prima di Terni e poi di Piombino, il vero progetto a lungo termine potrebbe essere quello più volte evocato nell’ambiente siderurgico e finanziario ma mai confermato in via ufficiale, la quotazione in Borsa. Una strada ancora tutta da tracciare, ma che potrebbe vedere aprirsi nuove posizioni e ruoli da coprire anche per chi oggi siede nel management dell’ultima arrivata nella famiglia Arvedi. Per un’operazione di questo tipo servono figure professionali specifiche che potrebbero essere già presenti dentro le mura di Ast. Insomma i nodi da sciogliere sono tanti, ma all’orizzonte sembra esserci in ogni caso un rafforzamento dell’acciaio con bandiera tricolore, come spesso auspicato dai rappresentanti del Governo. Certo è che il Piano nazionale della siderurgia deve andare insieme a quello energetico, non si può parlare di innovazione se non si risolve il problema del costo dell’energia elettrica e del gas, e come si arriverà all’idrogeno nel futuro. La partita della siderurgia si gioca attraverso la regolamentazione europea, fondamentale affinché l’acciaio nazionale sia competitivo a livello internazionale.

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