Ast, è ora di cambiare passo e strategia

Terni, azienda e sindacato devono trovare linguaggi e nuovi e soprattutto gli stessi

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di Walter Patalocco

Il rapporto resta teso, tra i vertici delle acciaierie e il sindacato; il domani appare ancora nebuloso, nonostante gli accordi sottoscritti. E’ che bisognerebbe essere nelle condizioni di poter essere confidenti che alle frasi contenute nelle carte seguano le azioni consone.

Le Rsu delle acciaierie lasciano capire che loro vorrebbero passare di nuovo alle azioni di protesta, alla mobilitazione. Ne parleranno – è spiegato bene nella cronaca dei fatti in altra parte di umbriaOn – con le segreterie.

L’Ast pensa ad un ulteriore calo di occupati attraverso incentivi all’esodo? Prevede di chiudere il secondo forno di fusione dell’acciaio? Smantellerà la produzione del titanio? La direzione ha risposto con tre no, ha assicurato che rispetterà gli accordi, le leggi ed il contratto nazionale di lavoro.

Però certi segnali concreti non convincono le Rsu: a giugno calerà di mille tonnellate la produzione a caldo, ad esempio, e questo preoccupa; poi ci sono questioni su premi di produzione, orario, sicurezza ai forni che la dicono lunga sulla qualità dei rapporti tra le parti e lasciano dubitare sulla reale buona volontà del vertice Ast. E le Rsu denunciano i fatti, mostrano di stare vigili, annunciano azioni di contrasto.

Tutto qui? Tutto qui. Non che non siano faccende da trattare con attenzione, ma forse è un po’ poco quello che si sta mettendo – è il caso dire – al forno da parte sindacale.

Da sei mesi si sta girando e rigirando attorno a questi stessi temi senza fare un passo avanti. Mentre si parla di questo, sarà necessario valutare se non sia il caso di allargare la questione, di tirare un bel respiro e di cominciare ad affrontare argomenti nuovi, valutando con attenzione e determinazione i grandi cambiamenti che nel mondo della produzione e del lavoro si sono verificati nel frattempo. Cominciare a valutare gli effetti rivoluzionari prodotti dalla crisi sconvolgente che c’è (c’è stata?). Se il sindacato continua ad agire come anni – ma basterebbe mesi – addietro rischia di trovarsi nella retroguardia.

E’ ora di chiedersi se non sia necessario intensificare il dibattito e renderlo più vigoroso, prendendo in esame presente e futuro non solo della fabbrica, ma delle fabbriche.

Prendendo in considerazione coraggiosamente alcuni segnali che vengono da vertenze, temi dibattuti, ruoli ed azioni del sindacato in Italia e in Europa. Porre, nel caso specifico, la questione siderurgica all’attenzione del sindacato europeo, perché è la siderurgia di tutta Europa – non quella di Terni – che ha bisogno di provvedimenti vigorosi.

Ed intanto va intavolato un discorso con l’Ast. La quale dice che rispetterà il contratto nazionale, ben sapendo che dappertutto si stanno aprendo le porte a contratti più particolari, con cui rappresentanze dei lavoratori ed impresa si accingono a comportamenti nuovi e diversi; a contrattazioni aziendali che individuino ad esempio servizi, orari, corrispettivi salariali, ma anche una comune partecipazione alla gestione dell’azienda, alla programmazione, all’assunzione di responsabilità con uno stesso identico scopo per entrambe le parti: far crescere la fabbrica, individuare produzioni ad alto valore aggiunto, valorizzare (e usare) le professionalità, i cervelli, le capacità di ogni singolo lavoratore, impiegato, dirigente, componente del vertice aziendale.

E’ questione che può far ritrarre il fiato, come trovarsi a dover percorrere un ponte tibetano nemmeno tanto messo bene: un’impresa difficile, un qualcosa che appare impossibile. Ma bisogna andare dall’altra parte.

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